Passa ai contenuti principali

Il Presepe Vivente di Aiello nell’anno 2023

di Franco Pedatella
Nel testo che segue Aiello Calabro vuole raccontarsi com’era nel passato con le sue tradizioni, i momenti di vita quotidiana, le attività, le abitudini, allo scopo di trasmetterlo alle generazioni più giovani e conservarlo nella memoria dei posteri. Le scene che si susseguono vogliono far rivivere, come in quadri animati, la vita palpitante della gente in modo da promuoverne il ricordo indelebile. Il tutto, idealmente trasferito nella Palestina della tradizione evangelica, è incorniciato nell’atmosfera incantata della Natività del Bambin Gesù, che lo colloca in un ambito storico e religioso di incantevole bellezza.

Dal Lauro parte, ov’ho le mie radici,
il Presepe Vivente di Aiello,
che il paese vede idealmente
in Palestina antica trasferito.

Erode in nome della grande Roma
impera coi Romani in posa e in armi,
pronti a eseguir ogni ordine lor giunto
che dia l’idea di terra ben compatta,

lontana da contrasti e ribellioni
che un popolo segnavan prima inquieto,
diviso da contrasti prolungati,
perseguitato e altrove deportato.

Perciò vi aveva Roma i suoi soldati,
i legionari a ciò ben addestrati,
che, con sapienza ai nativi uniti,
ne féano provincia dell’Impero.

Ma qui ad Aiello or facciam ritorno
al posto dove ha inizio il nostro andare
in questo giorno bello da affidare
agli atti della storia popolare!

Mira quest’arco tu, visitatore!
Frutto è di mano d’opera locale,
d’arte che quivi ha le sue radici
ben coltivate in luogo ad essa eletto.

A guardia della porta i legionari
dicono che il dominio è qui di Roma,
che vi ha fissato il seggio del potere
rappresentato da local regnante.

Un lauro v’era un tempo, maestoso;
la cima e i rami suoi furiosi venti
sfidavano quand’Eolo infuriato
forte soffiava e tegole dai tetti

facéa volare in testa a chi passava
per le viuzze strette del paese.
Ma una mattina un vento assai impetuoso
vi s’abbattè con furia strepitosa:

i rami ne spezzò, piegònne il tronco
che a terra rovinò con crepitare
degli spezzati rami e del troncone
e il tetto tolse ai giochi dei bambini.

In processione il popolo si muove
in su verso San Cosmo, ov’è la chiesa,
che un tempo custodiva venerata
la bella statua dell’Immacolata,

donde a dicembre, il giorno a Lei dicato,
venía a Santa Maria accompagnata
a spalla da gran popolo festante
coi canti religiosi e con le note

solenni della banda musicale,
che allór riuniva i giovani a suonare,
lungo le vie, le marce e i motivetti
e l’opera poi in piazza sopra il palco.

Prosegue indi il viaggio in Via Castello.
Qui, nelle stanze a terra e negli androni
di antiche costruzioni e di palazzi,
arti e maestranze all’opera son chine.

Vi sono scarpe pronte alla consegna,
forme di scarpe, cuoio, gomma e suola
in rotoli, per fare calzature
nuove e rifarne altre consumate.

S’ode di là il graffiar di sega a mano
ed il lisciar di pialla o di martello
il battere su legno, a metter chiodi
su mobile già pronto alla consegna.

Il legno utilizzato vien dal bosco,
ch’è la ricchezza del paese nostro
e rifornisce anche segheria
dei mastri Casella, “I Pippari”,

perché anche le “pippe” fabbricavano
col ciocco che ad Aiello vegetava.
Ninno, don Peppe, Mastr’Angelo, il cognato,
il dí al rumór di seghe trascorrevano

e insieme a lor Michele, poi partito,
dopo una storia di perseguitato,
lontàn da casa negli Stati Uniti
e a moglie e a figlio infine riunito.

Il ticchettar di macchina che cuce
avverto, mentre gambe a cavalcioni
reggono stoffa dove il sopramano
vi fa con bianco fil paziente mano.

Il fuoco di fornace arrossa il ferro,
lo batte sull’incudine il martello
e lo modella il fabbro con la mano
abile a far lo zoccolo d’equino

o a farne attrezzo d’uso quotidiano.
Paziente il discepolo scintille
osserva uscir da incudine e martello,
mentre col piè alimenta la fornace.

Alla “Jisterna” , “Tuvulu” e “Canale”
le mamme andavan a lavare i panni,
li “assamberavan” poi con grande fuoco,
facevan la “lissía” per poi sciacquare.

Al sole stesi lí quei s’asciugavano,
prendevano l’odòr della natura;
raccolti poi in un cesto e ben piegati,
passavan per le vie ben profumati.

Era la gioia a tutto il vicinato,
quando passava sotto le finestre,
la mamma con il cesto sopra il capo
tenendo con la mano il suo bambino.

In casa giunta, i panni ben piegati
venivan nelle “casce” sistemati,
e quelli delicati da figura
venivan sotto il ferro ben stirati

al fuoco del carbone e della brace
che dentro vi ardevano bruciati,
mentre una mano esperta li bagnava
quanto serviva all’opera perfetta.

Si vede questa scena questa sera
nell’orto qui di fronte al bel palazzo,
dove Nicola Imperato un tempo
ebbe dimora e fece il falegname.

Qui mangiano gli alunni della Scuola
Elementare e portano ogni giorno
di legno “ un’asc-ca”, come contributo
che ogni famiglia deve per la mensa.

A cucinare è donna premurosa,
che con amor prepara le pietanze,
che con piacere mangiano affamati
questi ragazzi qui dall’aule giunti.

In quel negozio vendono “pignate”
fatte d’argilla nostra qui a Borgile.
Già ride il focolare, che “surache”
s’appresta accanto al tripode a bollire.

Piú in là già bolle in pentola la pasta
a piè del bel palazzo De Dominicis.
Tra un po’ con sugo rosso la condisce
pronta un man per avido palato.

Se poi in famiglia c’è anche un golosone,
acqua e farina mescola in “majilla”,
per far “pasta d’ ‘a casa” o “maccarruni”
o “pasta chjina”, come ai vecchi tempi.

Vigile guarda il bosco, se un incendio
all’improvviso parte su in montagna,
e avverte chi intervenga per fermare
il fuoco che le piante va a bruciare.

È il gruppo delle guardie forestali,
che vigila su tutto il territorio
quando d’estate il bosco e la campagna
preda del fuoco sono e vanno in fiamme.

I guardafuoco avvertono anche loro
e pronta una squadra di operai
con acqua, accette, seghe, zappe ed altro
fa spartifuoco e fiamme spegne o frena.

Qui è la Pretura, dove un sol pretore
giudica sulle liti in primo grado:
se un vicin di casa l’altro accanto
per futili motivi ha malmenato,

da due carabinieri vien portato
nella prigione dentro la caserma,
dove la notte e il giorno successivo
passa su tavolaccio a pane ed acqua.

Per le altre gli avvocati delle parti
son pronti a intervenir sulla questione
ed alla fine il giudice decide
chi condannare o assolvere o rinviare

ad opportuna istanza superiore,
dove un collegio adatto a giudicare
decider possa in via definitiva
se assolver l’imputato o condannare.

Scendendo per Via Monti giú alla “Valla”,
s’incontra rumorosa un’osteria:
ingordo un bevitore vi tracanna
coi suoi compagni un gran bicchier di vino,

mentre l’ostessa porta a mani piene
di pane grosse fette e mortadella
sí che giammai sian sazie quelle gole
e il vino bevan fino a notte fonda.

Non so se sian contente loro spose
d’arrivo di mariti barcollanti,
pronti a parlare loro in pieno sonno
ed a finir poi tutto in un bisticcio.

“Va’, jetta ‘ste mundizze alla “Cerbina”!
‘Ud’ aspettȃ ca vene ‘u scupature!
Domane priestu hȃm’ ‘e pigliȃ ‘u postale
ppe ccurrere a Ccusenza allu Spitale”

dice la madre a figlia cui sta male
il padre e non si sente di mangiare
neanche il piatto solito gradito,
che preferiva ad ogni cucinato.

Sul letto è coricato, poverino,
e con difficoltà può camminare.
Neanche questa festa può godere,
che tutto l’anno aspetta con amore.

“L’impegnativa ‘u miedicu l’ha ffatto.
De cchjú nun se pô ffare cca ad Ajíellu.
Vidimu s’ a Ccusenza ‘a pô cconzare
sta gamba, ca nun pô cchjú ccaminare,

ancunu specialista buonu e bravu,
c’ ‘a ppostu le mintisse ‘a nerbatura,
ccussí pattrita torne a ccaminare
e ancore ‘a passïata se pô ffare”.

Su quella impalcatura sta sospeso
il mastro muratore, al suo lavoro
intento con il secchio di cemento
e la cazzuola in mano per spalmare

sul muro il cemento e intonacare
perfettamente a mo’ dell’arte sua,
mentre da sotto altro materiale
fornisce l’aiutante puntuale.

In questo forno caldo ed accogliente
“viscotta” fan le donne a mezzanotte
fino al mattino, quando ancor bollenti
li portano nei cesti ben coperti

in case e vie per essere venduti,
dalla montagna fino alla marina,
quivi ad Aiello e pei paesi intorno,
per dar la gioia a bimbi e a ragazzini.

Vi si produce pure pane fresco
che sparge bel profumo tutt’intorno.
Sa di salute, fa venir la voglia
di masticarne un pezzo, e non per fame.

Il pane qui prodotto vien venduto
in quel negozio a fianco insieme a riso,
pasta e generi altri alimentari
al viver quotidiano necessari.

Oggi è gran festa e tutti generosi
son quelli che producon da mangiare,
perché in Terra arriva a predicare
il Ben e a far cessare ogni odio e guerra:

un bambinello nudo e infreddolito,
senza una culla o un letto o un pian d’appoggio,
ma ricco dentro d’attenzion speciale
a tutti i bisogni della Terra.

Andiamo a tender anche noi la mano!
Dall’altra parte mano generosa
porrà qualcosa a spegnere la fame,
segno d’affetto in mondo non piú umano,

dove la guerra, l’odio, il capitale
dettano legge sulle decisioni
di chi governa, regge, opra e impera
e dello sfruttamento legge impone.

Salici e canne, in ordine ammucchiati,
con mano esperta vengono intrecciati
dal mastro cestaio qui seduto,
per farne gli strumenti di lavoro

a donne che vi portano le olive,
ad uomini che tornano dai campi
dopo giornata di raccolta intensa,
ai figli che li seguono per gioco

o per aiuto al lavoro duro
dei genitori o di fratel maggiore,
in ogni caso lucro desiato
per la famiglia a tavola riunita.

Quell’altro impaglia sedie per fornire
un comodo riposo a chi sta in casa
o, quando dal lavoro ritornato,
a desco mangia il cibo meritato.

Che odór di funghi vien da quella casa,
di “vàllani” e castagne a “rosella”!
Di certo la montagna ha rifornito
il focolar, che questi prelibati

cibi ai palati offre delicati
e fa piacere a tutta la famiglia
nelle serate innanzi al focolare
o intorno al bracier tra gambe acceso.

I fichi secchi mandano un odore
ed hanno un gusto proprio prelibato.
In questa casa accanto si lavora
con gran passione e vengono prodotti

“crucette”, fichi secchi e al cioccolato
e piú specialità studiate ad uopo
per far contenti i gusti ed i palati
di chi ad Aiello vive o sta in vacanza.

Le donne son già pronte al primo sole:
dalla montagna “sàrcine” di legna
portano a casa e poi, per cucinare,
preparano “pignate” e “casseruole”.

Già la mattina presto i pomodori
approntan là per fare la “conserva”;
nelle bottiglie il sugo vien versato
e la provvista fan per la “vernata”.

Aiutano a tappare le bottiglie
i maschi con la forza lor maggiore.
Tutto finisce poi nella “quadara”
sotto la quale arde e cuoce fiamma.

Non è finita ancora la giornata
che si protrae al giorno successivo,
quando dai fichi il miele è spremuto
e nei contenitori sistemato.

Tanta fatica al fin viene premiata
fuori, tra le case, al vicinato,
quando su sedie e panche ben sedute
raccontano e fanno “ ‘u curunatu”.

Ma il loro gran lavoro ancor non cessa:
parlando, il telaietto tra le mani
tengon per fare ai panni un bel ricamo.
Tovaglie e fazzoletti ricamati

ed orli di lenzuola e di coperte
escon da quelle mani laboriose,
mentre completa in ciel sua traversata
il sol già pronto a manca a tramontare.

Nell’altra casa il batter di telaio
si sente, ove donna laboriosa
fili di piú colori va intrecciando
e tesse tela a farne degna dote

alla figliola, che tra poco il sogno
coronerà, nel cuore accarezzato,
di essere la sposa fortunata
di un giovanotto bello e innamorato.

Di sé farà di certo bella mostra
la seta che “ ‘u síricu” ha prodotto,
da mani esperte all’uopo allevato
com’è ad Aiello antica tradizione.

C’è gente riunita quivi in piazza,
un po’ seduta sopra il parapetto,
un poco in piedi ferma o a passeggiare,
che chiacchiera e racconta del paese

la vita quotidiana e quel che accade
ai paesani in casa e per le strade,
quello che fa il compare in osteria
e come fa la spesa la comare.

Ne segue una risata con l’affetto
che da lontano tempo qui ad Aiello
lega la nostra gente e tiene uniti
famiglie, conoscenti e vicinato.

La posta quivi arriva quotidiana,
la porta il postale puntuale.
Don Casimiro la preleva pronto,
la porta in Posta con il suo asinello.

Donna Carmela la riceve in Posta,
la smista con dovuta diligenza,
poi la consegna ad altro personale
per la consegna ai destinatari.

Lo aspettano le donne sulla porta
disiose di notizie di parenti,
che per lavoro o altro son partiti
ed in lontana terra sistemati.

Seduto è con la faccia insaponata
e aspetta il cliente che il rasoio
barba gli rada e lucentezza día
alla sua pelle e induca il sole a invidia.

Intanto il barbiere, mastro esperto,
è interessato al dir d’altri clienti,
che parlan della tattica seguita
nella partita della Nazionale,

in cui l’Italia ha vinto sulla Francia,
ma l’altra ha perso poi contro la Spagna,
partecipando ai grandi Campionati
Europei, in vista dei Mondiali.

“S’è fatto tardi, è l’ora di pranzare.
Per i capelli passa il pomeriggio!
Farò di te un gran bel giovanotto”
dice il barbiere al suo malcapitato.

Gli altri allo stesso modo manda a casa,
lavoro sbrigativo promettendo,
mentr’essi son passati a disputare
dell’Inter, Roma, Milan, Juve e Napoli.

In questo bel palazzo principesco,
denominato Cybo-Malaspina,
urla, impera, giudica e dispone
Erode, che il volere suo impone.

Teme che dei parenti suoi qualcuno
o altri, come detto in profezia,
gli prenda il trono e resti ei senza regno.
Per questo vuole uccidere i bambini:

tra i nuovi nati certo eliminato
verrebbe il futuro usurpatore
ed annullata quella profezia
che notte e dí giammai lo lascia in pace.

Se questa profezia tanto temuta
noi la guardiam con gli occhi della storia,
dire possiam che questo Bambinello
è senza dubbio quello ch’egli cerca,

perché predicherà poi l’uguaglianza,
agli umili darà la beatitudine,
sorriso ai sofferenti darà in dono,
castigo e dannazione ai prepotenti.

Ho visto quel romano in atto e in armi
picchiare questo povero pezzente,
che un giorno è stato un ricco benestante
e s’è ridotto or nullatenente.

Questo è l’impero: c’è quel che comanda
e gli altri rende tutti a lui obbedienti;
diventa con il tempo imperialismo,
fa ricchi i pochi, gli altri fa pezzenti.

Il lunedí è giorno di mercato.
Dalle campagne vengon contadini
che portano i prodotti della terra,
frutto di lor lavoro in settimana.

L’odór di “carne ‘e puorcu d’ ‘a Ricella”,
su fuoco vivo cotta e preparata,
si sparge in questa via dal caseggiato
che sta di fronte a noi presso al mercato.

Uomini e donne al tavolo disteso
hanno il maiale e fan la carne a pezzi:
salsicce, soppressate, “sanguinacciu”,
lardo con grasso han cura di serbare.

Quella che guida queste operazioni,
rivolta al figlio con parole chiare,
con voce ferma di chi sa operare
dice che cosa manca per mangiare:

“Di sale bianco un pezzo vai a comprare
al tabacchino! Bada che sia bianco!
Poi dentro al mortaio lo ammacchiamo
e pasta asciutta in piatto ci condiamo.

Mi raccomando, compra solo il sale!
Tabacco e sigarette non guardare!
È roba che fa male a menti sane
e vizio è a chi è malato e gli fa male”.

Non era frequentato assai il Macello.
Per una sola volta a settimana
mangiava carne la famiglia media:
vitello, capra, pecora o agnello.

E lo annunciava forte il banditore
in piazze, strade, vie, qua e là in paese:
“ ‘A crapa, ‘u puorcu, ‘a piecura o vitella
allu cumpà Pascale l’è sciollata.

L’è jjuta sutta chillu terminale
chi porte ‘mberu ‘u jume de Savutu.
Pronta è alla chjanca ‘a carne frisca e bella.
Curriti, ca sinnò nun ci ‘a trovati!”.

Non era esposta in frigo bene in vista.
Su ligneo ceppo a batterla “ ‘u chjanchíeri”
sta con martello, ascia e con coltello,
per farla a fette e venderla ai clienti.

A “San Giuliano” innanzi a vecchia chiesa,
dov’ampio spazio s’apre riservato
tra bei palazzi e chiesa al ciel sospesa
e il posto è dal passeggio separato,

Sinedrio in Sinagoga v’è riunito.
Ardua questione impegna i sacerdoti:
come onorare il padre e la madre
nel rapido mutar d’usi e costumi.

Il Sommo Sacerdote s’alza e dice
lo spirito e il tenór di Vecchia Legge
che al popolo Mosè ha consegnato
dal Sinai discendendo. Sí è narrato.

<<Altra questione è questa: se la guerra
ci fanno, che risponder noi dobbiamo?>>.
<<È scritto “Non uccidere!” nel quinto
comandamento, senza condizioni>>.

In quello spazio ampio son raccolti
tanti animali, ad essere venduti
a prezzo ragionevol destinati.
La festa porteranno nelle case

in questi nostri giorni ricordati
quando saranno in tavola serviti.
Alcun sarà di certo risparmiato
e in altra occasione consumato.

Qual bela, qual grugnisce, crocchia o mugge,
del fato inconsapevol che l’attende,
mentre dal gioco dei bambini è attratto,
che intorno gli saltellano giocando.

Sotto la “Vota” dell’antica “Praca”,
“Piazza del Popolo” oggi intitolata,
umile giace e dolce il Bambinello,
su cumulo di paglia sistemato.

Fuoco non v’è che arda a riscaldarlo,
non v’è accogliente stanza ad ospitarlo;
un bue e un asinello con lor fiato
tengono caldo il bimbo infreddolito.

La mamma sua Maria e Giuseppe, il padre,
gli stanno intorno teneri e devoti,
ancor preoccupati pe ‘l decreto
che i nati di quel dí voléa ammazzati.

Per questo dalla casa eran fuggiti
cercando un ricovero sicuro.
Giuseppe ad ogni porta avéa bussato
chiedendo un letto per mamma e nascituro.

Invano, tutto era occupato!
Il mondo a questo avvento s’è negato.
Solo alla fine un bue e un asinello
la grotta loro aprîro al Bambinello.

Ora Egli è qui e la novella lieta
il mondo all’improvviso ha conquistato:
da lunge re e pastori qui arrivati
recano doni al Bimbo che qui è nato.

Quasi re fosse l’adorano inchinati
ed una stella in cielo s’è fermata
a illuminar splendente questa grotta,
facendone splendor di Paradiso.

Finisce qui la nostra passeggiata,
il nostro viaggio dell’adorazione.
Perciò anche noi inchiniamoci a pregare
per ringraziar chi in Terra a noi è venuto

a spalancare all’uomo porte nuove
e ad aprire strade inconsuete,
che portano a traguardi mai veduti
dagli uomini filosofi e scienziati!

Per fargli onore, a raccoglier legna
giovani e anziani in giro sono andati,
per fare questa “fòcara ‘e Natale”,
che idealmente vuole riscaldare

il Bambinello qui da poco nato,
dal clima invernale infreddolito.
Pïetosa la gente del paese
ricorda ancòr cosí l’evento lieto.

Aiello Calabro, 25 dicembre 2023

Franco Pedatella

Commenti