Chi ha avuto modo di guardare in tv il film premio Oscar LA GRANDE
BELLEZZA, alla fine dello stesso sarà rimasto stranito, chiedendosi quale
sia il senso del film.
Non nascondo che dopo la prima visione anche io ho provato una sensazione
di smarrimento e mi sono chiesto quale fosse il messaggio che Paolo Sorrentino
ha voluto celare nelle scene del suo lavoro. Per comprendere il film è
necessario guardarlo almeno due, tre volte. Solo dopo più visioni, infatti, il
messaggio diventa chiaro.
E allora… quale è il messaggio che Sorrentino vuole darci con LA GRANDE
BELLEZZA?
Partiamo da alcuni punti che cercherò poi di spiegare:
- Kalos kaghatos e cioè il bello e il buono;
- La bellezza salverà il mondo che è un saggio del filosofo
bulgaro Cvetan Todorov;
- L’importanza delle radici;
Il film si apre con una scena che mostra la “depravazione” e la decadenza
di Roma e della sua “gente”. A questo ritratto, se vogliamo anche impietoso fa
da contraltare la bellezza di Roma, dei suoi monumenti, delle sue chiese, delle
sue opere d’arte. La “visita virtuale” che Sorrentino ci fa compiere nel più
bel museo a cielo aperto del mondo, serve a tratteggiare quel bello e buono,
kalos kaghatos appunto, che sono racchiusi nell’arte e nella sua perfezione.
Quindi la bellezza di Roma e l’omaggio, che dura per tutto il film, che
Sorrentino fa serve a mostrare quel mondo ideale e perfetto a cui l’uomo aspira
e nel quale i vizi, le depravazioni dell’animo umano non sono presenti. L’arte
è bellezza assoluta ed è buona perché con la sua bellezza lenisce i mali del
mondo.
Passiamo al secondo punto, la bellezza salverà il mondo.
Il saggio del filosofo bulgaro, il cui titolo è ripreso nelle pagine de
L’idiota di Dostoevskij, allude al solo senso del vivere, a quella
bellezza che ogni uomo conosce nel profondo di
sè, che è la sola cosa immortale di un'esistenza mutevolissima e deteriore. La
bellezza è la sola cosa vera in un mondo fatuo, vano, vuoto. Infatti una delle
battute pronunciate da Jep nel film è: Le vedi queste persone?
Questa fauna? Questa è la mia vita. E non è niente, frase
che sottolinea la vacuità del mondo che cambia attorno a se e che lo
circonda in contrapposizione con l’eternità della bellezza.
Altro momento importante del film è quella in cui compare la Santa, la
suora missionaria in visita a Roma. Personaggio dotato di grande spiritualità,
illumina Jep sull’importanza delle radici, essenziali per la riscoperta di sé
stessi e per non dimenticare mai le proprie origini. La frase della mistica è
comunque da leggere tra le righe in quanto dopo che il protagonista afferma di
non aver trovato la grande bellezza, la suora afferma di mangiare radici perché
sono importanti. In queste parole è racchiuso l’invito a Jep a riscoprire le
sue di radici, radici di uomo e radici di letterato. Lo invita quindi a
riprendere l’attività di scrittore.
Ancora più marcate delle parole della Santa è l’immagine che si apre
davanti agli occhi dei due personaggi ovvero il volo dei fenicotteri rosa,
uccelli dei quali si invoca la saggezza prima di compiere viaggi sia fisici che
psichici affinchè possano guidare nel lungo percorso. Inoltre il fenicottero,
come la Fenice capace di risorgere dalle sue ceneri, è una sorta di totem da
invocare per superare i fallimenti della vita. Nel caso di Jep quindi il suo
fallimento è rappresentato dal non aver trovato la grande bellezza.
Ma il vero senso del film lo si coglie osservando e analizzando
attentamente tre personaggi chiave della pellicola, che non sono semplici
figure di contorno bensì sono le pietre miliari del percorso di Jep nella
scoperta anzi riscoperta della grande bellezza.
Mi riferisco ad Alfredo, Ramona e la suora detta la Santa.
Alfredo è il marito di Elisa, il primo amore, forse l’unico vero amore di
Jep, la donna che gli ha fatto conoscere e vivere la bellezza, la grande
bellezza dell’amore. L’incontro tra i due, è il preludio al cammino interiore
che Jep compie verso la riscoperta della grande bellezza. Evocative sono le
immagini in cui vediamo il protagonista in acqua, con lo sguardo fisso verso la
sua Elisa ed evocativa è la scena finale in cui Jep, di fronte al relitto della
Concordia, rivive la notte d’amore puro vissuta con Elisa, la notte in cui lei,
mostrandosi seminuda, gli fa scoprire la grande bellezza che non è la fisicità
dell’amore quanto la spiritualità pura e assoluta di questo sentimento.
Ramona invece, con la sua prorompente bellezza, la sua fisicità, la sua
volgarità incarna Roma e il suo mondo vizioso e depravato che lentamente muore
come alla fine muore la donna. La morte di Ramona segna la fine della vita
dissoluta di Jep e preannuncia l’ultima fase del suo cammino interiore verso la
riscoperta della grande bellezza.
Ultima è la figura della Santa, che con le sue rughe, il suo
sdentata e sofferente nel corpo rappresenta, fisicamente, le difficoltà e il
dolore che ognuno prova nel riscoprire se stesso. La scena in cui la vediamo
impegnata nell’ascesa della scala di San Giovanni simboleggia il cammino di
purificazione che Jep verà compiuto quando sulla scogliera del Giglio, di
fronte al relitto della Concordia, riscoprirà se stesso e la nuova voglia di
tornare a scrivere.
La chiusura del film di fronte al relitto della nave da crociera, anche
essa vittima dell’errore umano, e paragonata alla vita piena di errori di Jep,
vuole paradossalmente essere augurale in quanto la nave, paragonata più volte
all’Italia, possa allo stesso modo risorgere come nel film rinasce il
protagonista.
Ecco perché il film è un capolavoro perché attraverso immagini stupende e
ambientazioni rarefatte, ci fa capire che si può sempre ricominciare e che LA
GRANDE BELLEZZA, intesa come amore e gioia della vita e voglia di ricominciare,
sono le uniche cose da ricercare.
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