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Antonio Del Corchio, artista Aiellese del XIX secolo. "Il particolare vezzo del pittore che nel 1863 dipinse la Madonna del Pettoruto" di S. Sosti in un articolo dello studioso Francesco Capalbo


di Francesco Capalbo


In una contrada di Luzzi, sopra un piccolo pianoro dal quale è possibile scorgere in lontananza uno spicchio della catena del Pollino e la gola del fiume Rosa, è adagiata una chiesa rurale intitolata alla Madonna della Cava o della Sanità.
La storia narra che in questo lembo nascosto di Calabria l’intervento mariano portò soccorso a Lucrezia Scalzo, una ragazza disabile. L’interno della chiesa, di recente restaurata, è composta da tre corte navate decorate dal pittore Emilio Jusi, lo stesso che a metà degli anni cinquanta affrescò anche la chiesa di Santa Caterina Vergine e Martire di San Sosti. Alla fine della navata laterale destra è collocata una tela raffigurante la Madonna del Pettoruto che, sia per il realismo dell’immagine che per la cura dei particolari, potremmo definire di derivazione classica. Il dipinto svela non solo quanto fosse diffuso nei secoli scorsi sul territorio della Valle del Crati il culto della Vergine di San Sosti, quanto anche la ricercata sensibilità artistica di un personaggio poco conosciuto.
L’autore del quadro, stando alla firma collocata sulla sua sinistra, fu nel 1863 il pittore Antonio del Corchio, nipote ed allievo del famoso Aloisio Raffaele Maria Luigi, che dipinse opere sacre conservate in varie chiese della Calabria.
Secondo lo studioso Raffaele Borretti, tra i due parenti vi fu un rapporto di mutua collaborazione desunto dal fatto che in una tela conservata a Laurignano è decifrabile il nome del nipote sotto il monogramma con il quale l’Aloisio era solito firmarsi.
Del Corchio, sulle orme dello zio, studiò a Napoli e fu testimone insieme ad altri giovani pittori calabresi del fiorire delle speranze culturali della nostra regione nel periodo post unitario. Nella città partenopea trovò accoglienza, mentre la Prefettura di Cosenza si fece carico dei suoi studi.
Tra gli estimatori del giovane artista vi fu anche Vincenzo Padula che accostò il pittore di Aiello Calabro a Tano Eugenio, eccellente ritrattista ed anche fervido garibaldino. Lo stesso scrittore fu impressionato, sia per la fantasia che per la bellezza delle forme, da un dipinto raffigurante Tommaso Campanella nell’atto di contemplare il cadavere di Bernardino Telesio e ne propose l’acquisto alla Provincia di Cosenza.
Padula tuttavia non fu sempre benevolo nei confronti dell’ artista di Aiello Calabro. Tagliente si rivelò ad esempio la sua opinione a proposito di una tela raffigurante san Gerolamo ed anche il suo convincimento a riguardo di un dipinto figurante lo scontro tra Argante e Tancredi. In questo ultimo caso ebbe a sentenziare senza parsimonia di parole che il ritrattista disconosceva l’opera di Torquato Tasso.
Di Antonio del Corchio rimangono anche gli affreschi della cupola di San Geniale, ora Chiesa del Sacro Cuore e della Chiesa di Santa Maria Maggiore di Aiello Calabro, nonché il ritratto del Beato Domenico Lentini conservato in Lauria ed a lui attribuito in maniera incontrovertibile.
Svaniti appaiono ormai i dubbi intorno alla vera identità dell’uomo d’arte, ingenerati dalla bizzarra abitudine che egli aveva di anteporre la preposizione articolata “del” al suo vero cognome.
La firma “Antonio del Corchio” che compare sotto le sue opere sembra più che altro il ghiribizzo di un uomo d’arte che di nome faceva Antonio Corchio , figlio di Geniale e di Cecilia Aloisio, il quale venne alla luce nella contrada San Giuliano di Aiello Calabro in un giorno di fine settembre del 1834.


Nell’immagine: Madonna del Pettoruto, Antonio Del Corchio, 1863


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