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La Rosa d'Ajello. Piace il romanzo di Sergio Ruggiero, alla seconda edizione. Alcune recensioni su "un viaggio vertiginoso, a ritroso nel tempo, un viaggio bello e terribile nel cuore di un’epoca affascinante quanto inquietante"

"La Rosa d'Ajello", il secondo romanzo di Sergio Ruggiero, uscito nell'estate 2009, del quale dal mese di maggio scorso è uscita la seconda edizione - arricchita nei contenuti e con una nuova copertina - continua ad avere apprezzamenti e giudizi critici molto lusinghieri, che in parte vi proponiamo in questo post. Il volume, come già annunciato in precedenza, è in concorso al Premio letterario nazionale "Città di Siderno", la cui Giuria è presieduta da Walter Pedullà.
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RECENSIONI
La Rosa d’Aiello: un viaggio nel tempo
di Ines Ferrante
Storica e docente di materie letterarie, Presidente del centro culturale “Sifeum” di Castrovillari, Direttrice di collane editoriali – Castrovillari
“La rosa d’Aiello” è un viaggio vertiginoso, a ritroso nel tempo, un viaggio bello e terribile nel cuore di un’epoca affascinante quanto inquietante, un’ epoca in cui la grande, misteriosa vicenda templare fa da cornice ad una tormentata storia d’amore e di dolore, intrecciata a passioni, politiche e religiose, affetti familiari, ideali e valori, atrocità ed avventure. Un viaggio che ci fa entrare in punta di piedi nel XIII secolo, e ci fa percorrere una Calabria devastata dagli angioini, desolata e drammaticamente inerme, e, seguendo una trama che scorre via velocemente, ci fa rivivere quel medioevo così magico e così lontano, ma mai dimenticato, dove ogni lotta, ogni combattimento, ogni duello diventa un vero ed autentico capolavoro, tanto che, in alcune momenti, ci viene quasi voglia di afferrare una spada per entrare nella mischia, per urlare a gran voce a favore degli indifesi, e lasciandoci talvolta spaventati, talaltra estasiati dai paesaggi descritti; Ci fa conoscere luoghi odorosi di rose e ambienti brulicanti di misera vita, di agi fastosi e sterminata ambizione, Ci fa incontrare ed incrociare personaggi e protagonisti rappresentati con immagini vivide e folgoranti, lasciandoci colpiti sia dai piccoli eroi che da una condizione svantaggiata, riescono a trovare la propria strada e il proprio destino, dando prova di coraggio e di umanità, sia da quei loro antagonisti cinici e mostruosamente crudeli, le cui brutture, senza esclusioni di colpi, sembrano dissolversi nella loro stessa astuta cattiveria. “La rosa d’Aiello” è dunque un viaggio a perdifiato, e chi ci indica il percorso da seguire e la meta è Sergio Ruggiero, un autore che eccellendo per originalita' e per profondità, e rivelando una ricerca attenta e seria, sa interpretare le fonti storiche, spesso lacunose e contraddittorie, combinarle con la storia fittizia, sa addentrarsi e districare le infinite leggende dai fatti reali. Ruggiero unisce alla competenza e alla scrupolosità storica ed erudita una narrazione coinvolgente e appassionata, conducendoci nel racconto costruito con intelligenza e semplicità. In effetti, al di là delle indubbie doti narrative e affabulatorie dell’autore, al di là delle implicazioni teoriche e semiologiche dell’opera, “La rosa d’Aiello” è un romanzo coltissimo e corredato da molteplici indicazioni storiche e folosofiche, ma è, pur tuttavia, un romanzo piacevole e fruibile da tutti, poiché si presta a diverse modalità e livelli di lettura, e si rivolge ad un pubblico variegato per gusti letterari e competenze. Una sorta di satura lanx, dove ognuno, dal lettore capace di cogliere i prestiti e le citazioni dell’autore e di orientarsi nella complessità storico-culturale del testo, fino al lettore “ingenuo”, interessato esclusivamente all’azione e all’emozione, si diletterà, seguendo lo svolgimento della storia dal rispettivo punto di vista.
“La rosa d’Aiello”, dunque, si configura come romanzo gotico, romanzo popolare, romanzo storico, romanzo di formazione, romanzo filosofico, e trova in questa sua peculiare caratteristica proprio uno dei suoi maggiori punti di forza. Al centro dell’intricatissimo ed avvincente labirinto della composizione narrativa, tra dispute politiche e religiose, tra lotte di potere e di predominio, emerge la “sete” di fede, di conoscenza, di dottrina e l’anelito al sapere completo. La sapienza pura e scevra da ogni “medievalismo” ed intrisa, invece, di quel moderno pensiero scientifico, di cui già gli antichi furono i precursori, sembra pervadere il romanzo da cima a fondo manifestandosi in forme diverse, con figure straordinarie, come Alpetragio, come Raniero, come Luigi di Joinville. L’autore evita ogni qualsivoglia allusione e riferimento esplicito al presente, ma, tra le pagine dell’opera, quel Medioevo rappresentato non può non essere metafora epistemologica del luogo e del tempo in cui il romanzo è stato concepito, un Medioevo disegnato, rivisitato e reinventato con gli occhi rivolti soprattutto all’oggi, un medioevo che vede da un parte un mondo oscuro, arretrato e bigotto, ostile ad ogni germe di novità e di dissenso, e dall’altra un pensiero moderno ed illuminato. L’autore plasma e modella egregiamente una materia di ribollente attualità storica, narrando una storia che in realtà parla di tutti noi, di quell’Europa formatasi proprio sulle ceneri cocenti di un’epoca che è stata la nostra “infanzia” di popolo e di civiltà e a cui occorre sempre tornare per fare l’anamnesi. Nell’ultima pagina il viaggio si interrompe, lasciando un grande vuoto nel cuore, ma i protagonisti incontrati ed incrociati non scompaiono dai nostri ricordi, non ci dimentichiamo di Vella, o di Pepo, di Folco, né la trama si dilegua nei nostri pensieri, poiché crediamo che ciò che ogni lettore chiama “ la fine” del romanzo, in realta non sia stata ancora scritta.
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Nota di Valutazione al Libro “La Rosa d'Ajello” di Sergio Ruggiero
a cura di Editrice Cliodea, Cosenza
di Atanasio Bisignani
La costruzione letteraria e il profilo narrativo dell'Opera “La Rosa d'Ajello”, sono ascrivibili al genere del cosiddetto Romanzo Storico: un genere della narrativa in prosa, caratterizzato da un testo di una certa estensione, che in questo caso, assume valenza formale, in cui si alternano forme narrative di carattere eroico-militari, tendenti all'allegoria, ma anche soluzioni ed elementi a carattere mitico-fantastico.
L'Autore, appare edotto e invasato di spirito letterario comunitario, che ha come base intellettuale la conoscenza metodica della tradizione narrativa europea, delle origini sino ai giorni nostri: negli anni che vanno dal XVI al XVII la materia della narrazione, pone il romanzo in sintesi tra la Storia vissuta e l'Epica raccontata, fedele soprattutto alla tradizione culturale della Letteratura francese e inglese.
Il nostro Autore, rielabora con personale ingegno, l'architettura semiotica e il corpus narrativo del suo Romanzo Storico, miscelando sapientemente le componenti linguistiche ed estetiche con la logica della tecnica narrativa, che appaiono intrise di influenze culturali e che pongono il Suo Romanzo in una condizione di “crocevia mediatico”, su cui si incontrano le varie sfumature letterarie, care anche alla tradizione del romanzo storico italiano del'ottocento e del novecento, dove i temi della famiglia, delle relazioni sociali ed affettive sono condizionate da vicende storico-sociologiche propedeutiche alla narrazione dei fatti, che regolamentano queste alterne consuetudini umane.
Il Libro del Ruggiero, in base alle sue caratteristiche distintive, che si riscontrano al suo interno, può essere classificato secondo i seguenti generi e/o filoni narrativi, che lo peculiarizzano: Come Romanzo di Avventura, Romanzo psicologico-intimistico, Romanzo di ambiente e costume, Romanzo Fantastico, Romanzo Gotico, Romanzo Mistico-filosofico.
Sulla scorta di queste considerazioni, l'Opera di Narrativa del Ruggiero, è pertanto una opportuna e riuscita azione letteraria, che si presta agevolmente, ad essere letta e fruita, per meglio comprenderne la sorprendente unicità ed originalità di pensiero.
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Spunti di riflessioni su “La rosa d’Aiello” di Sergio Ruggiero.
di Franco Del Buono (Calabria Letteraria)
Con tecnica sottile, come le mani usate dell'artista compongono le tessere colorate e minute di un mosaico, Sergio Ruggiero, nel suo romanzo, coagula e armonizza realtà e fantasia, storia e leggenda, credenze popolari e religione, usi e costumi, in un gioco infinito delle parti. Continuo è anche lo spostamento dell'azione da un personaggio all'altro, così come gli episodi, e da una cittadina all'altra: da Perugia ad Ajello e ad Acri, dall'Italia alla Terra Santa. E' qui che si ritrova l'orgoglio dei cavalieri d'Europa. I quali s'ingegnano a dare il meglio di sé, disperatamente, per liberare quelle terre contaminate dall'odio e dall'orrore e ristabilire Ia dignità perduta nel nome di un Dio-Uomo, che percorse le contrade e vi impresse le sue orme. Ed egli ogni volta recupera il filo conduttore della trama, disperso in tanti rivoli, e lo sposta in maniera agevole e con lucidità lungo tutto il percorso.
Nel confronto, la storia non rimane vilipesa, statica o ridimensionata, ma è salva nei suoi tratti essenziali e nel suo divenire irrefrenabile: appare solo laminata all'esterno da una vernice trasparente, irrorata e corroborata dall'essenza solida e profumata del acconto.
Il risultato finale è eccellente, poiché durante la lettura non è facile intuire il momento in cui compare sulla scena la finzione e quando, invece, predomina la materialità oggettiva. In questo, a mio avviso, si coglie la bellezza e l'originalità di “La Rosa d'Ajello”: nella capacità del tutto razionale di fusione organica dei pezzi e di scollamento di essi.
Fin dalle prime pagine, l'autore dimostra di avere una conoscenza chiara del tempo storico nel quale immette il suo racconto: nomi di imperatori e regnanti dell'epoca, usi e costumi, dati geografici, strade romane, vie costiere, castelli medievali, mura di cinta e città.
Ci pare di capire che l'interesse principale sia quello di recuperare il quadro storico, senza appesantirlo sotto la forma tradizionale e seriosa del trattato, ma utilizzando la dolcezza, la semplicità discorsiva e leggera del racconto, come strumento che penetra più facilmente nell’anima del lettore nelle varie situazioni ambientali e vi rimane impresso. L'obiettivo è quello di non generare in lui stordimento o la noia, ma di fungere da traino, per la sua fantasia, in luoghi esotici e lontani nel tempo e nello spazio, affinché si immedesimi e avverta gli stessi sentimenti suoi. Ruggiero riesce nell'intento.
L'intera vicenda si svolge in pieno medioevo. Un periodo complesso dai mille volti, che ha offerto spunti di riflessione agli storici e agli scrittori, ai filosofi e ai teologi; ha ispirato poeti e romanzieri contemporanei e di epoche successive e sono nate pagine infinite per capire quelle identità nel loro nascere e negli sviluppi, sulle macerie di un sistema politico e di potere ormai logoro, corrotto e in disfacimento.
L'autore tratta il materiale narrativo con serenità, come immerso in quella cultura e non come estraneo a essa, con gusto, un sorriso compiaciuto e un palpito di tenerezza, specie quando nasce il sentimento dell'amore sotto l'armatura fredda e ruvida del cavaliere, che ogni volta scalda il cuore e la curiosità del lettore; mentre di rado osserva con distacco e freddezza i suoi personaggi, alla maniera dei giornalisti consumati di oggi dinanzi agli avvenimenti di cronaca quotidiana, che transitano spediti per le loro mani e che non suscitano alcuna emozione.
Non cita la fonte da cui attinge la sua lunga e piacevole storia, ci sarebbe piaciuto conoscerla per curiosità o per un confronto. Immagino che non l'abbia tratta da un testo arcaico pieno di polvere e ingiallito, rinvenuto dentro gli scaffali di una biblioteca, ma, più verosimilmente, appartenga alla cultura popolare d'un paese antico, qual è Ajello. Ogni comunità ha le sue radici nelle quali si identifica: le fiabe, la sua etica, il suo mondo culturale che custodisce gelosamente e che tramanda da una generazione all'altra, per via
orale, con il suo alone di mistero e di fascino.
La singolare narrazione si caratterizza per una serie di elementi di indubbia valenza culturale ed emozionale, alcuni di non facile approccio, come ad esempio l’eresia di stampo gioachimita che ha caratterizzato l’Europa del XIII secolo, questione controversa sulla quale si sono cimentati saggisti e narratori di grande nome, trattata, nel romanzo di cui parliamo, in una forma davvero singolare. Tusco da Fonte Laurato crediamo rappresenti validamente una possibile proiezione del tormentato misticismo religioso dell’età di mezzo, che ha in Gioacchino da Fiore la figura più significativa. Né meno significativo appare l’elemento filologico e semiologico, frutto di un’attenta selezione di opere e citazioni, senz’altro di notevole interesse nella sua ordinata funzionalità alla caratterizzazione dei protagonisti del romanzo.
Nel raccontare le tormentate vicende di un templare, in maniera peraltro storicamente convincente, seppure sensazionale nella sua dimensione epica, Ruggiero costruisce un valido artificio attraverso il quale presentare una Calabria medievale che veramente non t’aspetti, in effetti crocevia di vicende di straordinaria intensità e significato storico, come la fiera seppur dimenticata opposizione ghibellina di Ajello ed Amantea all’avanzata guelfa
nelle Calabrie. Emerge dunque una Calabria interessante ed orgogliosa, che non si limita a subire la storia ma che si sforza di esserne protagonista.
Di certo, la storia di Folco si sarà impressa nell'anima di Sergio Ruggiero.
L'ha amata e rimuginata per lunghi anni e poi, quando non si riesce più a trattenerla dentro di sé, come una forza che si sprigiona all'improvviso e rompe gli argini ha deciso di unire i vari tasselli, rimaneggiandoli con cura e dovizia di particolari e amalgamandoli con i tratti del suo sapere.
Il romanzo, proposto nella sua seconda edizione (“Grafiche Calabria” di Amantea), si presenta in una veste tipografica rinnovata, elegante, ed è impreziosito da carte topografiche antiche e da vedute di Ajello, di Amantea e della Calabria, da riproduzioni pittoriche e da simboli usati all'interno dei Templari, sconosciuti ai non addetti. Al lettore offre valide occasioni di conoscere aspetti di storia locale durante la dominazione angioina: guerre e terrore, violenze d'ogni specie e ruberie, assedi e combattimenti che è difficile incontrare nei testi ufficiali per la loro minuziosità e che certamente completano e ampliano il quadro generale degli avvenimenti dell'epoca. Ai ricercatori il compito di rintracciarli al suo interno e di dare il giusto rilievo e il valore che il romanzo merita nel rispetto della verità.
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Una nota di Fabio Gencarelli, investigatore, 41 anni, Rose CS
Salve dott. Ruggiero,
mi chiamo Fabio, Lei non mi conosce ma ho avuto il piacere di comperare il suo libro e di esserne rimasto più che soddisfatto, dopo averlo letto ed apprezzato, lo riacquisterei anche ad un prezzo più alto del suo reale costo. L’apprezzamento non è dovuto tanto al racconto, anche se molto appetibile come genere, ma alla sua maggiore qualità: il suo invisibile contenuto.
Per un momento mi avete fatto sentire come l’abate, Luigi di Joinville quando incontra il meccanico Raniero, in trance nell’ascoltare la Sapienza.
Lo stesso personaggio che rappresenta la negatività temporale e sublime quando consapevolmente pronuncia tali parole: “Il mio indomabile bisogno di conoscenza si è trasformato in superbia della mente. V’è una misura oltre la quale l’ardore d’intelletto scade nel peccato, perché diventa vanagloria, cupidigia, avidità ed io quella misura non l’ho veduta”. Stupenda e umile manifestazione di una verità che non tutti avrebbero rilevato a se stessi.
Non vorrei apparire un presuntuoso se utilizzo parole di altri per esprimere un pensiero che condivido, ma sono talmente belle che non si possono non dire:
“la mia sete di conoscenza è talmente sconfinata che vorrei già essere in grado di sapere, quello che ancora non so di non sapere” … e ancora:
“non chiamiamo l'incoscienza coraggio, e non confondiamo il rispetto con la paura, poiché così facendo faremmo di un'incosciente un valoroso, di un saggio un vile e di uno spietato tiranno una rispettabile persona”.
Aggiungo anche qualcosa di mio, penso che: “nella vita tutti sbagliamo, anche quando si acquisisce la consapevolezza che stiamo sbagliando … a volte continuiamo a farlo ugualmente”.
Come avrei voluto ascoltare anche io come il giovane Folco il sapiente Alpetragio con ingenua e umile volontà di “apprendere” .
Concludo con altre parole “rubate”… Imparare significa scoprire quello che già sai.
Fare significa dimostrare che lo sai. Insegnare è ricordare agli altri che sanno quanto te.
Grazie per la gioia regalata al mio cuore, per le belle parole che avete comunicato attraverso i vari personaggi del vostro libro …
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Le “emozioni” di Giuseppe Marchese, Amantea
La Rosa d’Ajello” è la nuova opera di Sergio Ruggiero. Un romanzo d’amore ambientato nella Ajello del tredicesimo secolo. Una storia di amore che nasce e si snoda tra vicende di assedi e di occupazioni militari.
La Rosa di Ajello è un testo che si impone di leggere per la sua capacità di sollevare emozioni rigo dopo rigo, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, evento dopo evento.
Ecco le mie emozioni:
“Che cosa sarebbe la vita senza emozioni? La sola risposta possibile è: Una vita senza emozioni. Cioè una vita piatta, monotona, o forse mònotono, come una chitarra che suona sempre la stessa nota od al massimo lo stesso motivo, magari sempre più lentamente man mano che le dita si irrigidiscono
Certo il cuore farebbe sempre il suo costante movimento, ma non pulserebbe, né vibrerebbe; le mani non suderebbero, l’adrenalina non si riverserebbe bel sangue, il respiro non si rarefarebbe, né diverrebbe affannato, non avresti tremori agli arti, non sentiresti le tue viscere squassate e tremanti, non avresti paura, non ameresti, non odieresti.
Bè si, magari non avremmo tic, nè attacchi di panico, ma il viso sarebbe sempre lo stesso, solo ogni giorno più vecchio, senza sorrisi e senza lacrime di gioia. Solo il dolore sarebbe parte della vita.
No, non sarebbe vita.
Sono le emozioni provocate dai piccoli piaceri e dispiaceri che danno colore alle nostre giornate, sono loro che ci permettono di ricordarcene negli anni.
Sono le emozioni i momenti speciali della nostra vita, talvolta unici, imparagonabili. Emozioni sollevate dai tramonti, sempre eguali eppure uno diverso dall’altro, dalle donne, tutte diverse l’una dall’altra eppure tutte donne, come i libri, uno diverso dall’altro, e che ti sollecitano emozioni ineguali. Non tutti in modo eguale. E non tutti i tramonti, nè tutte le donne, né tutti i libri.
Ma questo di Sergio Ruggiero certamente si.
Sarà per il fatto di riconoscerti nella descrizione dei luoghi così da poterli e doverli sentire parte di te, della tua vita, come se quei sentieri li avessi qualche volta percorsi o quelle mura già viste.
Sarà per il fatto di riconoscerti nella storia del tuo paese, che ora senti più orgogliosamente tua, quasi ne fossi stato protagonista, magari in un’altra tua vita.
Sarà per il fascino della storia locale riletta nel romanzo, edulcorata e mitizzata.
Sarà per il fascino della storia di amore, di una storia difficile che, tra vicende alterne, si conclude senza chiudere la porta alla speranza.
Saranno i passaggi repentini del testo che ti portano nel filo logico del romanzo ma sulle ali della leggenda e del mito, quasi fotogrammi di un film ancora non filmato, elementi spezzati di un puzzle che messi insieme si fanno riconoscere.
Non è facile saperlo, tante sono state le emozioni provate e ritengo saranno ancora tante quando mi accingerò a rileggere questo testo.
Certo essere sollecitato ad immaginare l’antico porto nel Catocastro da secoli insabbiato e rivederlo, mai visto, pieno di vita quotidiana, non può non sollevare emozioni ed anche riflessioni.
E rivedere la chiesetta bizantina ricordata da pochi, sconosciuta ai tanti, perfino ai cultori di storia della chiesa, e ora travolta dalla modernità costruttiva che uccide le memorie, nella ignavia di chi avrebbe potuto, se non dovuto, difenderla e non lo ha fatto, non può non suscitarti emozioniew tristi riflessioni.
E poi come non provare emozioni di fronte al Folco giovane artigiano sognatore, che aspira ad altissimi traguardi sociali e morali, sorretto solo dalla sua nobiltà d’animo che guida i suoi passi, e dal suo coraggio che lo accompagna nella quotidianità. Come non vedere in lui le speranze dei giovani calabresi che partivano per terre sconosciute guidati solo dal proprio istinto per una vita migliore, forti di un coraggio mai mostrato, ricchi di una speranza mai incontrata?
Come non sentire le viscere ribellarti di fronte alla violenza gratuita di Lodovico de Royre che uccide senza emozioni, uomini-numeri, folle di una paura che lo attanaglia o lo porta verso una violenza disonorevole.
Come non leggere in Lodovico il MALE eterno, quello che non finisce mai, quello che, al massimo, si nasconde per ricomparire più forte da un’altra parte, in un altro romanzo, in un altro tempo, con spoglie diverse. Come non pensare a quel Lodovico scompare dal romanzo, unico a non aver patito, a non aver subito, se non la paura della perdita del suo potere, una figura senza regole, senza pietà, senza fede, senza coscienza.
O come non leggere, in fondo, nella figura di Luigi di Joinville la disperazione di chi cerca in modo appassionato e violento il potere della cultura per riuscire ad imporre al mondo un nuovo governo. Una figura emblematica e straordinariamente intensa. Una figura di una fortissima attualità, sempre vigile e viva, anche se, essa, come tutte quelle che mirano al possesso totalizzante della cultura, in questa disperata ascesa, perde man mano i valori dell’uomo e sempre più il contatto con la quotidianità e giunge al punto di mentire, oltraggiare, offendere, ingegnandosi alla distruzione degli altri per confermare la sua sopravvivenza. E come non leggere nella invocata sanzione terrena non la mano del Signore, non la punizione divina, ma la resa di chi ha visto il suo sogno infrangersi e di chi ritiene inutile la sua vita. Una figura che vive, rappresenta e muore nella disperazione.
E come non leggere nella figura di Vella il forte senso materno delle nostre antiche donne calabresi, capaci di ogni sacrificio, di ogni gesto di amore anche estremo. Come tutte le mamme direte voi. Forse, ma certamente le nostre nonne che sono sopravvissute ai figli morti in guerra e per il re( chi non ricorda il detto che “u masculu è du re” che si sentiva nelle campagne della nostra terra di Calabria e che spesso era alla base della stessa emigrazione-salvezza), che sono sopravvissute ai mariti emigrati e morti di silicosi.
Emozioni a iosa nel sacrificio estremo di Vella, per amore della sua Rosa, e nella dolcezza infinita per il suo uomo Pepo al quale prima di morire dedica quel suo “sapevo di poter contare su di te” che è il più bel gesto d’amore di tutto il romanzo, che fa di Pepo un eroe-martire, in quel gesto infinito di amore per la sua Vella che egli si impone di raggiungere scavandosi la fossa a lei vicino.
Sono certo che quando questo libro sarà tradotto in film questa scena farà piangere tantissimi spettatori, i quali faranno finta di soffiarsi il naso, come usano fare quando l’emozione ti chiude la gola con un groppo e ti umidifica gli occhi, quei finti uomini forti per evitare di farsi vedere deboli dalla propria moglie, amica o compagna.
Piccole grandi figure di questo romanzo.
Falene nella notte che si accendono di immenso.
E poi è tutto un susseguirsi di volti, di immagini, di icone.
Cominciando da Alpetragio, il saggio, l’uomo che condensava in sé la conoscenza totale, il mondo della cultura di quel tempo e che aveva unito alla conoscenza la saggezza quale elemento di unione e di diffusione. Alpetragio, il Federico II di Aiello. L’uomo al quale, come tutti i savi, bastavano poche parole, l’uomo che non faceva due volte lo stesso errore. Quasi un mito, salvo poi scoprire la capacità e la gioia di avere amato e di amare ancora.
E poi di tutto.
La mitezza di Cenzullo da Amantea.
La forza dei banditi di Amantea,per quanto mitizzati, nello sforzo della ricerca della dignità della risposta dei calabresi alle vessazioni
La dolcezza misteriosa di Sina che come un angelo custode compare e scompare sempre nei momenti opportuni
La ipocrisia di Tommaso di Beaufort che mostra tutta la sua debolezza attendendo all’ultimo ordine di portatore di morte Uccidere per non essere ucciso. Bruto del suo possibile Cesare
E poi Tusco. La voce coscienza , quasi un Savonarola che anticipa i tempi.
Ed infine Raniero e Rosa, lui il condensato della bellezza maschile, della forza, della saggezza che nasce dalla conoscenza, lei la donna bella, dolce e mite, ma insieme forte ed appassionata, stereotipo della donna un po’ madonna ed un pò amazzone.
Raniero e Rosa, una coppia il cui amore chiude il romanzo con “la mia compagna e nostro figlio Folco” detto con un sorriso che appare l’emblema dell’intero romanzo.
Chiuderebbe così il film immaginario che il romanzo ti induce a vedere, con questo sorriso di ambedue i protagonisti, un sorriso che lascia immaginare una complicità passata, presente e futura tutta da scoprire.
E forse questo è anche il bello del romanzo di Sergio. Non finisce. L’autore lascia al lettore di immaginarne la prosecuzione.
E questo immaginario forse suggerirà al nostro autore una nuova storia, un nuovo romanzo.
Ecco concludo.
Non voglio mitizzare il libro, né mitizzare l’autore, ma nemmeno sottovalutarli.
Ma in questo grigiore in cui mi pare versi la cultura locale, il libro ed il suo autore sono come un raggio di luce.”
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Il contesto storico del romanzo
di Roberto Musì (intervento al Quartiere Chianura Amantea, del 10 luglio 2010)
Parlare di un romanzo storico è innanzitutto cosa che ritengo, contrariamente a quanto possa sembrare, non proprio facile a farsi perché spesso capita che i fatti narrati vengono di solito o traviati o cancellati del tutto per far posto ad una versione nuova che la fantasia dello scrittore maneggia a seconda della sua sensibilità e cultura. A volte accade che le soluzioni narrative adottate alla fine impongano una loro verità non meno interessante di quella storica. Questo accade prevalentemente quando le vicende narrate si riferiscono ad epoche piuttosto lontane nel tempo, la cui documentazione risulta essere scarsa e manchevole e pertanto si può verificare che l’esprit dello scrittore riesca ad offrirci una visione più suggestiva di quella che effettivamente possa essere avvenuto. Il libro dell’amico Sergio Ruggiero ci fa entrare in un preciso momento storico cioè quello dell’occupazione angioina delle Calabrie, periodo assai complesso per il Meridione d’Italia. Nella Premessa al libro parlammo di una storia ambientata nella Calabria medievale, della conquista angioina ed in particolare nella piccola città ghibellina di Ajello che subì, nel 1269, un duro assedio contemporaneamente o quasi ad Amantea. Avevamo inoltre sottolineato alcuni aspetti relativi ai fatti storici effettivamente avvenuti e di come poi tutto l’impianto narrativo del romanzo trovasse alla fine una sua unitarietà nella narrazione della lotta per la libertà di un giovane uomo, intrecciata ad una delicata storia d’amore. L’epoca storica del Medioevo, cui fa da fondale al libro, si presta a racconti del genere perché è l’epoca dei cavalieri vestiti di ferro, quasi invincibili sui loro bianchi destrieri, dei loro duelli, dei lunghi assedi a castelli quasi imprendibili e poi anche di fanciulle che sospirano il ritorno del cavaliere o che addirittura lo vedono dagli spalti di quel castello assediato e poi conquistato con infine l’immancabile matrimonio sotto una doppia fila di guerrieri con le spade sguainate. Anche se tutto ciò non propriamente così avviene per la storia di cui stiamo parlando, vogliamo dire che l’archetipo è questo. A Piazza Mercato in Napoli il 29 ottobre 1268 Carlo I° d’Angiò, dopo aver battuto Corradino di Svevia in una grande battaglia campale a Tagliacozzo, lo fa decapitare perchè ritenuto ultimo ostacolo alla conquista di quel Regno delle Due Sicilie che la Chiesa Cattolica reclamava come suo, da tempo immemorabile. Per rimanere al romanzo, una cittadina come Amantea, da sempre filosveva, si levò in armi e ci vollero alcuni mesi per metterla a tacere. A pochi passi da Amantea il piccolo centro feudale di Ajello era divenuto anch’esso focolaio di resistenza per cui si dovette ricorrere anche ad un intervento di tipo militare. Re Carlo, poiché l’assedio di Lucera e di Gallipoli andava per le lunghe, incaricò, per sedare le rivolte scoppiate nei piccoli centri calabresi, alcuni feudatari antisvevi, come Pietro Ruffo. ”Più di due mesi durò l’assedio – scrive Pier Fausto Palumbo – tra il maggio ed il luglio. Tutti gli accorgimenti furono posti in atto per ridurre il numero, disanimare, affamare i ribelli, chiusi per terra e per mare in un cerchio sempre più stretto e senza uscita, privi ormai d’ogni speranza d’aiuto.” Qualche mese prima (alcuni dicono in aprile o agli inizi di quello stesso anno, altri ancora parlano della fine del 1268) aveva subito un violento assedio anche la vicina cittadina di Ajello, dove una serie di “traditori” avevano sobillato la popolazione. “Non si conosce quanto tempo durò la resistenza degli ajellesi - scrive Rocco Liberti - all’assedio posto dalle truppe filo angioine e se la cittadina dovette arrendersi a discrezione oppure venne presa d’assalto, ma certo si è che, avvenuta nel 1268 l’esecuzione del povero Corradino, l’opposizione non ebbe più ragione di essere e coloro saranno venuti a patti col nemico pur di conservare la vita e gli averi. Nei registri angioini – continua ancora Liberti - non si dice minimamente se Ajello venne, quindi, messa a sacco oppure no, ma soltanto che parecchi “traditori” arrestati nella vicina Amantea vennero prima custoditi nel suo castello e poscia efferatamente torturati ed uccisi. Quasi certamente, tali malcapitati dovevano essere i capi di una seconda ribellione … risolta da Ruffo nel 1269 che, caduti nelle mani del francese per forza di eventi pagarono poi il fio del loro gesto”.
In effetti dopo la conquista e la cosiddetta pacificazione delle Calabrie gli Angiò furono spietati nella repressione e nella persecuzione di chi aveva capeggiato la rivolta. Chiamati dal Papa, gli angioini erano giunti nel sud perché gli svevi, specie negli ultimi tempi avevano, nel tentativo di neutralizzare il potere temporale della Chiesa, di molto limitato gli introiti feudali della Chiesa e danneggiato contemporaneamente anche alcune famiglie baronali che non avevano seguito Re Manfredi nella politica antiecclesiastica intrapresa. Sconfitto Manfredi nel 1266 e Corradino nel 1268, re Carlo d’Angiò si sentì d’un tratto quasi onnipotente anche rispetto alla Chiesa e non appena si assicurò la conquista, sembrò che la sua fosse, come scrisse un altro grande storico calabrese Oreste Dito, una politica “ di solo tornaconto dinastico”. “Col favorire e rendere potente il baronato, - scrive il Dito - col restituire alle chiese calabresi i diritti perduti sotto gli svevi e aggiungerne di nuovi, la politica angioina credette di assicurare una potente base alla dinastia, legando alle sorti d’essa, la forza di interessi reciproci, l’esistenza privilegiata della classe baronale e degli ecclesiastici”. Quindi perseguire una politica repressiva, fare ricorso alle torture più feroci, dare l’esempio, in una parola incutere paura, tutto ciò doveva dare la misura della potenza e della forza per mettere in ginocchio un paese intero.
Le vicende che le pagine dell’amico Ruggiero ci narrano, sono quelle dell’estrema opposizione al nemico angioino, del ricorso addirittura al terrorismo, sotterraneo ma non meno insidioso in Ajello e praticato, come lui scrive, dagli amanteoti, in modo molto attivo. In qualche modo forse preannunciano le giornate del Vespro, quando a Palermo in un drammatico Venerdi Santo di qualche anno dopo (nell’aprile del 1282), gli angioini si “giocano” addirittura la Sicilia e non vi faranno più ritorno. Da scrittore Ruggiero immagina forse una storia del genere e mi sembra abbastanza suggestivo pensarlo. Praticamente è in queste coordinate che si consuma, come dicevamo, anche una delicata storia d’amore con finale drammatico eppure avvincente, come si conviene a questo genere di storie che, hanno sostanzialmente per tema l’avventura, l’intrigo, la passionalità dentro la sfera delle azioni umane. La storia vera, come sappiamo però, ha avuto un corso un tantino diverso, la dinastia angioina di prima e seconda stirpe, come comunemente si dice, angioini e durazzeschi, tenne il sud, sia pure la parte continentale dopo la guerra del vespro del 1282, per ben 176 anni e pesò certamente molto sulle popolazioni del sud e per questo anche le varie interpetrazioni storiche si presentano abbastanza articolate circa una presenza straniera così lunga nella nostra terra.
“Non si può negare – scrisse l’inglese Runciman - che il governo di Carlo sia stato competente ed efficiente. Assicurò infatti, ordine, giustizia ed una certa prosperità. Ma non godè di popolarità tra i sudditi, che per temperamento detestavano un governo meticoloso, invadente ed autoritario; e soprattutto lo detestavano perché era straniero”. Pur venendo incontro ai sudditi (le molte costruzioni da difesa, le esenzioni e le immunità fiscali di alcune università locali, ecc.), alla fine, casa D’Angiò non potè che assistere ad un malinconico tramonto con l’avvento degli Aragonesi che gli stessi angioini-durazzeschi in fondo avevano chiamato e addirittura annessi al trono. Mi avvio alla conclusione senza pretendere di avere esaustivamente delineato un periodo così lungo e perciò stesso importante per la storia della Calabria. Non senza inoltre di dare un cenno alla fatica letteraria dell’amico Sergio che oggi continua una sua ricerca narrativa avendo come oggetto il Medioevo calabrese, iniziata con “Tre Croci a Pietramala” dove attraverso il racconto di alcuni percorsi di fede, Sergio dipana uno schema di sorprendente schiettezza e varietà. Nel raccomandarvi la lettura dei due testi voglio appena dirvi inoltre che giova conoscere la nostra storia, passata e recente, la storia della nostra gente, oltremodo esplorata dalla ricerca documentaria di grandi studiosi ed anche visitata dalla immaginazione e fantasia di illustri scrittori.
Voglio dire, in una parola, di questa nostra Calabria, famosa in questi anni ( o forse da sempre? ) più per essere negli ultimi posti nel campo sociale, economico, politico e culturale. Il “planctus Calabriae” del Barrio sembra non finire mai, eppure dovrà giungere un giorno in cui si troveranno i rimedi definitivi alle lacrime, che secondo noi consistono soprattutto nella conoscenza e nello studio rigoroso ed intelligente della storia del nostro territorio. L’amico Sergio, adoperando la fantasia, ha lavorato in questa direzione ed ha scritto non per dare corsa ad inutili sogni ma soprattutto per farci capire l’essenza dei problemi.
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di Rossana Castriota, psicologa, Cosenza
Quando gli amici della Mondadori mi hanno sottoposto in visione il libro “La Rosa d'Aiello” per commentarlo insieme all'autore (per carità da giovane appassionata lettrice e amante della letteratura e non certo da psicologa!), non avrei mai pensato di ritrovarmi catapultata all'improvviso sul tirreno cosentino, nell'anno del Signore 1273, nell' antico borgo di Aiello Calabro e conoscere templari, donzelle, cavalieri e Angioini. Come una macchina del tempo, se sfogliate le pagine del romanzo, prendono vita numerosi personaggi, si odono i rumori delle armi e delle botteghe artigiane, si vede il vecchio borgo medioevale risorgere sotto i nostri occhi ed al ritorno di questo viaggio magico si rimane colpiti dalla narrazione come da un incantesimo!
Il romanzo storico gode di buona salute in Calabria. L'autore, l'ottimo Ruggiero, sviluppa una narrazione avvincente e mai pedante. Ricercati sono i riferimenti storici, filologici e simbolici ma mai usati all'interno del racconto come fini a se stessi o per il gusto puro dello sfoggio intellettuale, bensì con orgoglio per il glorioso passato illustre calabrese, come blasone per simboleggiare, oltre che le vicende storiche, l'indomito carattere delle genti calabre orgogliose, fiere e degne di riscoprire il loro nobile passato. È questo che Ruggiero fa: ci offre l'occasione di conoscere pezzi di storia importante della nostra regione, ci da gli strumenti per capire che rinascere dalle ceneri del passato è facile per le genti del sud che spesso dimenticano di avere una storia e delle radici, le quali vanno riscoperte e rispettate per arrivare al rispetto di se stessi e della propria cultura e origine. La corte di Federico Secondo, Stupor Mundi, ed i personaggi che vi gravitavano, rivivono nei personaggi del romanzo. Le menti illustri, i valorosi combattenti Ruggiero canta con la passione e con lo slancio calabro.
Sotto questo punto di vista il libro di Ruggiero non è un semplice romanzo, ma una chiave di volta per aprire orizzonti vasti e poco conosciuti. La narrazione è si avvincente, ma sarebbe riduttivo parlare della “Rosa di Aiello” solo riferendosi all'intreccio romanzato originale e mai banale o alla scrittura efficace e scorrevole. Il romanzo è qualcosa di più nella sua stupefacente originalità: è una mappa che ci guida nella memoria storica, nella ricerca appassionata di gioielli (architettonici, simbolici, umani) che ci appartengono da sempre e che non sappiamo di possedere. Questa è l'impressione di una semplice lettrice, non di una studiosa né di una storica, che alla fine del viaggio proposto dall'autore, come novella Alice nel paese delle meraviglie, si è svegliata arricchita e stupita per tanta bellezza e sorpresa.
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Recensione aggiunta il 3 agosto 2010
“ La Rosa di Aiello: E’ un‘opera narrativa ambientata intorno al 1268, quando gli Angioini entrarono nel castello di Ajello e dopo un estenuante assedio, l’anno dopo, conquistarono Amantea, perpetrando una serie di violenze inaudite, di atrocità e di soprusi sulla povera gente inerme, stremata e indifesa, non risparmiando donne vecchi e bambini. Molte furono le scene di panico, di orrore commesse dai vincitori per affermare il dominio dei Guelfi con la forza. la paura e la benedizione della chiesa.(tramutatasi, in quel periodo nel -Regno di Satana - ) In molti sono fuggiti perchè nella fuga hanno trovato la salvezza e si sono adattati a vivere nei boschi, nelle grotte delle più intricate foreste, mantenendo legami di fratellanza tra loro per aiutarsi reciprocamente. Si sono formate delle bande agguerrite che ostacolavano in modo determinante il barbaro governo degli Angioini . Il tessuto narrativo dei suoi personaggi è convincente e lineare. Gli avvenimenti storici supportati da una struttura fantastica rendono piacevole la lettura anche se la narrazione di alcuni fatti è orripilante, lo scrittore, ha saputo centellinare le descrizioni in modo da non traumatizzare il lettore. Fosco,Goffredo di Maine, Reginaldo, Alpetragio, Sina, l’abate di Joinville, Raniero,Tommaso di Beaufort, Pepo, Vella , Rosa, e Cenzullo di Amantea, sono personaggi che interpretano i loro ruoli con la dovuta abilità e maestria. L’epilogo lascia la porta aperta alla speranza e i fatti storici, realmente accaduti, liberati dalla cenere dei secoli, creano l’impianto armonico di un romanzo che può definirsi :- STORICO.- Enrico Giardina (ins. in pensione)
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Recensione aggiunta il 4 agosto 2010
Le impressioni di Ernesto Pastorelli, agente di commercio, Arezzo.
Devo dire che la mia breve vacanza a Nocera Terinese s’è rivelata di notevole interesse anche grazie al suo romanzo “La Rosa d’Ajello”, che ho comprato in un negozio della Marina. Mi ha colpito la locandina appesa ad un pilastro, misteriosa, intrigante, sin da subito un richiamo irresistibile, per chi, come me, ama il romanzo storico. La lettura mi ha stimolato ad indagare meglio la vostra terra, ricca di paesaggi suggestivi ed orizzonti di fuoco, ma evidentemente ricca anche di una storia molto intensa. Ho trovato all’ultima pagina del romanzo il suo indirizzo di posta elettronica, molto bene, perché man mano che leggevo maturavo l’intenzione di dirle alcune cose.
“La Rosa d’Ajello” e un romanzo di una profondità assoluta, un intrigo magnifico di vicende umane distinte all’apparenza ma tra esse collegate, appese al filo del racconto che nella conclusione conferma prepotentemente la sua logica unitaria. Un racconto semplice e complesso al tempo stesso, anomalo direi. Credo che non abbia niente da invidiare ai ben più noti romanzi ed autori da milioni di copie vendute e da una pubblicazione all’anno, di alcuni dei quali, devo dire, ho letto quasi tutto. Ma questo libro credo vada oltre, rintraccia e sviscera l’essenza di un mondo che non esiste più, lo rappresenta nei suoi aspetti ordinari con descrizioni minuziose, ma soprattutto spirituali ed umani, un mondo fatto di segni da interpretare, di violenza consumata, misticismo estremo e profonda spiritualità, ed è senz’altro rappresentativo, credo, della vostra terra, antica ed importante. Grazie ad esso ho avvertito il bisogno di visitare Ajello, di visitare Savuto e Petramala che ho scoperto essere Cleto, rimanendo colpito dal bellissimo castello (a proposito, non ho trovato nelle librerie il suo “Tre Croci a Petramala. La prego di provvedere, se può, farò in modo di farmelo recapitare). Ho visitato la foce del fiume Catocastro ad Amantea, dov’era il porto all’epoca angioina, ed ho visto dalla strada i resti del castello e del monastero francescano, che ho riconosciuto perchè riportato in foto sul romanzo. Ho visitato e riconosciuto la grotta ai piedi di Amantea, rimanendo senza fiato per il bellissimo parco, la grotta, la rupe a strapiombo con le case arroccate. Ho avvertito, in sintesi, il bisogno di conoscere codesta meravigliosa terra, nei suoi aspetti meno noti, ad esempio capire chi era e cosa diceva Gioacchino da Fiore, non ne sapevo nulla, chi era e cosa pensava Pitagora, del quale avevo un lontano ricordo scolastico limitato al famoso teorema. E devo dire che la mia vacanza si è caratterizzata, in maniera imprevista e imprevedibile, ma bella, voglio dire a questo punto. Perché è un romanzo che mi ha preso e coinvolto fortemente. Mi ha fatto riflettere, ma anche piangere, come può piangere un attempato e disincantato agente di commercio di fronte all’amore tra due giovani, travolgente, che nel rito celebrato da Alpetragio esplode in tutta la sua ancestrale bellezza, un amore che tutti gli uomini e tutte le donne vorrebbero incontrare almeno una volta nella vita, almeno sognarlo. L’apologia dell’amore, il santo graal metafora di un sentimento superiore, di fronte al quale sono commosso come Cenzullo d’Amantea, il cantastorie. Mi ha commosso la sconfinata sapienza e umanità di Alpetragio, l’onnisciente, di cui, giuro, avrò perenne memoria. Che bello!!, e Raniero, il meccanico d’Ajello, titolare di un sapere enciclopedico, l’Archita, l’Archimede, l’Erone. Geniale!! Ho condiviso l’inquietudine di Luigi di Joinville, mi ha scosso la sua tragica e silenziosa fine per mano del demonio. Ho cercato di comprendere il tormento di Tusco da Fonte Laurato, l’oscuro gioachimita, a mio avviso il “vero costruttore” della trama, impegnato in una guerra senza quartiere contro l’anticristo. Mi sono emozionato per Pepo, il suo sacrificio per amore di Vella è di una dolcezza sconfinata. Avrei voluto fare come lui, l’ultimo dei servi della gleba che batte il gigante e conquista finalmente il suo riscatto, Davide contro Golia, e l’agognata serenità nella morte accanto alla sua donna. E’ anche in questo la forza del romanzo, che ci sa parlare di cose e persone semplici e del loro piccolo mondo fatto di povertà, di privazioni, di rimedi, di piccole astuzie per campare alla giornata e sopravvivere agli orrori, ma anche di sentimenti, spiritualità, ambizioni, piccole grandi ambizioni di gente piccola che non contava niente.
“La Rosa d’Ajello” è un romanzo che mi ha detto tante cose, difficile rappresentarle tutte, e che mi ha fatto vivere emozioni intense, mi ha fatto viaggiare in un tempo antico e oscuro ma abbagliato da violenti colpi di luce, terribile e drammatico, il tempo della guerra all’anticristo, della guerra senza esclusione di colpi tra uomini e popoli, tra il bene e il male.
Vede, Ruggiero, io non sono un critico, ma sono un buon lettore, e posso dirle francamente che il suo romanzo è bello ed inquietante. Volevo dirle solo questo.
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Recensione aggiunta il 5 agosto 2010
Anche prima passeggiavamo per queste colline scorgendo innumerevoli segnali di un passato oramai troppo lontano; ma dopo la lettura di “La Rosa d’Ajello” siamo a contatto più che mai con quella realtà, viva di emozioni e suggestioni che ci trascinano come per incanto nei sentieri dei borghi di Ajello e Petramala rivivendo sensazioni che da bresciani non avremmo mai potuto assaporare.
Dopo la lettura del primo romanzo di Sergio Ruggiero, “Tre croci a Petramala”, al ritorno dal mare verso il borgo lo sguardo cercava quelle tre croci; ora con questo intricante romanzo, la grotta dove Rosa coltiva il suo orticello compare ovunque, e dei “cespi di rosa gallica e siepi di rosa canina” se ne assaporano per incanto i profumi. Ogni volta che ritorniamo a Cleto nel periodo estivo i personaggi medioevali descritti con accurato realismo e romanticismo rivivono nei sentieri la fuori dal borgo: il maniscalco Raniero… e più su, la collina dove vive Magog che “a comando” schizza i bulbi oculari per spaventare gli intrusi; ma è Folco da Perugia, aiutante affrescatore catapultato in Terra Santa per finire innamorato di Rosa, che rivive nelle viuzze di Cleto e di Ajello.
È un romanzo di raffinata realtà, con personaggi avvolti nella loro semplicità che ci fa rivivere emozioni e sensazioni d’altri tempi ricordandoci che ancora oggi si può diffondere quell’amore colmo di dolcezza che Rosa esprime verso i lebbrosi. “La nostra comunità è una famiglia che si prende cura di se stessa e degli sfortunati, senza averne orrore o riprovazione …”, così scrive Sergio Ruggiero con le parole del venerabile Alpetragio. È come un messaggio che si diffonde in tutto il romanzo, un messaggio d’amore e solidarietà verso gli altri, siano essi lebbrosi, contadini, briganti, templari o saggi. Un monito per le nostre generazioni spesso troppo estranee all’accoglienza, alla vita comunitaria; spesso troppo interessate ai messaggi veloci degli SMS o delle poche parole su Messenger, spesso troppo brevi per esprimere pensieri profondi d’amore. L’attenzione di Pepo e della moglie Vella alla figlia Rosa funge da esempio per molte famiglie della nostra realtà spesso troppo attente più alla bella presenza che al bene comune.
Romanzo bellissimo scritto con parole da storico ed al tempo stesso da contemporaneo attento al linguaggio affinché sia comprensibile anche per noi giovani d’oggi. È sicuramente motivo d’orgoglio per la gente della Calabria, ma anche per noi turisti padani, sempre pronti a critiche troppo facili verso il sud. Sicuramente punto di riferimento per coloro che si accingono a descrivere il passato radicato nella loro terra, perché ogni piccolo borgo può essere da stimolo per una nuova avvincente storia sia essa con connotati storici o moderni, romantici o avventurosi.
Un grazie a Sergio che ci ha regalato queste sue bellissime parole racchiuse in una storia d’amore d’altri tempi fino a ieri nascosta dentro le grotte di Ajello e Petramala.
Marco Paderni e Alex Del Bono
Passirano (Brescia) - anni 17
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Recensione aggiunta il 24 agosto 2010
Gianni Ranuio, sant’Agata d’Esaro. Vive a Milano
Avendo letto “Tre Croci a Petramala, osservo che continua con il filone storico – romanzesco di Ruggiero, la contestualizzazione di narrazioni nei luoghi d’origine dell’autore, in forma assolutamente originale. La rosa d’ajello è un romanzo “asciutto” dal punto di vista storico, fluido nel linguaggio, dunque accessibile, congegnato e maturo dal punto di vista prettamente narrativo.
La vicenda si svolge tra Ajello ed Amantea in provincia di Cosenza, e coinvolge diversi personaggi: Folco da Perugia, l’abate Luigi di Joinville, il misterioso Alpetragio, ed altri personaggi che rimangono nel cuore del lettore, come la dolce Rosa ed il Templare Folco da Perugia, il pavido ma buon padre e la madre di Rosa che rappresenta in un certo senso tutte le mamme, lo spirito di abnegazione e sacrificio per i propri figli.
Un racconto appassionante e romantico, in cui vengono ancora riproposti i temi dell’eterno conflitto tra il bene e il male nei suoi possibili aspetti spirituali e filosofici, il senso della vita che continua, la speranza in un futuro che non c’è ma che può nascere da un obiettivo nobile. Giunge significativa e commuovente in tal senso la vicenda dei lebbrosi che sono già “Dead man walking”, me che trovano nella missione di proteggere i due giovani protagonisti una ragione di vita. Accattivante sembra l’originale riferimento alla rosa mistica, allegoria dell’amore puro, agli argomenti esoterici di matrice federiciana e a quelli che rimandano al femminino sacro e al santo graal, trattati con discrezione, evitando mirabolanti concetture insostenibili sul piano prettamente storico.
Davvero complimenti!
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Recensione aggiunta il 25 agosto 2010
Sono poco avvezzo a recensioni, commenti e critiche di qualsivoglia opera d’arte – un romanzo nel Suo caso - , perché secondo me, il frutto di chi compone è talmente personale, intimo, che ognuno deve e può emozionarsi come meglio crede. L’opera, a mio avviso, si presta molto bene al duplice scopo di far conoscere un periodo storico da molti definito oscuro, e al contempo di far vivere una storia d’amore che nella semplicità si rivela di una potenza straordinaria. Essendo un appassionato di storia, di storia medievale soprattutto, la cornice storica che pervade l’intero romanzo – un’ Amantea e un’Ajello, ai più sconosciute, diventa pagina dopo pagina materia intricante e affascinante. Il salto temporale in un’epoca lontana è nitido, senza alcuna sbavatura, per merito di una scrittura coinvolgente, lineare e mai banale. Le cittadine, gli anfratti, i porti, le grotte, sono descritti in maniera impeccabile, le istantanee consentono un tuffo nel passato degno dei migliori romanzi storici. Superba anche la caratterizzazione dei personaggi; si intuisce già dalle prime battute lo spessore umano e psicologico dei vari Goffredo di Maine, Fosco, Alpetragio, Raniero, Rosa e tutti gli altri. La varietà caratteriale degli uomini e delle donne che “vivono” all’interno del libro può essere ascrivibile ad ogni tempo, anche e soprattutto al nostro, dove intrighi, invidie, sete di potere e ricerca spasmodica dell’ineffabilità dello spirito sono sempre validi e sempre ci accompagnano. Poco “universale”, credo, sia la figura di Rosa e del mondo che la circonda: si intravedono anticipazioni delle donne stilnoviste, della Beatrice di Vita Nuova, e in parte della Laura petrarchesca. Per quanto possano essere degne di considerazioni queste mie impressioni, è un libro che consiglio vivamente. Per la materia trattata, per la trama romanzesca, per la qualità letteraria – linguistica, per l’abilità di un mio conterraneo.
Massimo Petrungaro, Fiumefreddo Bruzio (general manager, giornalista pubblicista)
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Recensione “La Rosa d’Ajello” aggiunta il 13 settembre 2010
U


n avvincente ventaglio di sequenze, ambientate in una dimensione spazio-temporale di notevole interesse culturale, costituisce l’intrigante intreccio del romanzo “La Rosa d’Ajello”. All’interno di scenari chimerici e fedeli, al confine sottile tra invenzione e veridicità, si snoda una storia di passione, di guerra e di orgoglio, resa più vivida dalle interazioni tra i peculiari personaggi. Tessendo con abilità una trama fantastica su uno sfondo contrariamente autentico, e non di rado immergendovi accurati riferimenti storici, l’autore riesce nell’ammirevole intento di mescere serio e faceto, erudizione e fiaba. Burattinaio impeccabile, mette in scena uno spettacolo clamoroso, nel quale i fantocci da lui manovrati divengono i fidi testimoni di un’epoca. Attraverso le eroiche vicende del protagonista e la sapiente caratterizzazione dei personaggi secondari, viene perciò a costituirsi un fedele ritratto della realtà medioevale nell’entroterra calabrese, occultante orrori e misticismo, violenze e soprusi. Cavalieri e stregoni, abati e guerrieri, pervengono così ad essere coinvolti in circostanze incredibili, atte a trasportare il lettore in un viaggio incantato, dal quale egli risulta integralmente rapito. Apprezzabile al contempo dall’inflessibile storiografo e dall’imperito studente, il romanzo in questione si innesta in un terreno stilistico quasi del tutto inesplorato, divenendo un mirabile caso esemplare. Libertà e peccato, speranze e illusioni danno vita a un turbinio di sentimenti nel quale domina sovrano il tema dell’opposizione al tiranno. Dotandola di note di sorprendente attualità, l’autore attribuisce inoltre alla sua opera una valenza fortemente affettiva che coinvolge in una viscerale seppur a tratti discutibile reverenza alle origini tutti quei lettori che nei luoghi narrati sono cresciuti o lasceranno un pezzo di cuore.
Maria Francesca Beatino, studentessa - Amantea
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Recensione aggiunta in data 15 settembre 2010
C’è uno strano fremito che scorre nelle pagine del libro. Un brivido caldo e sapiente che fa sussultare le vene di amore e di speranza. Io che sono un ragioniere della lettura non saprei definire a quale genere di romanzo appartenga “LA ROSA D’AJELLO”. E’ sicuramente un romanzo storico che si svolge nel periodo ben definito a me molto caro, importante per lo svolgimento di quei fatti rappresentativi dell’ideale ponte di pace che la nostra Calabria incarna; ma è anche un romanzo gotico perché l’epoca e i personaggi sono da collocare nel periodo connotato da Nilo da Rossano, Gioacchino da Fiore e i Templari, significando la profonda spiritualità di luoghi a noi cari. E’ anche un romanzo storico sentimentale perché i personaggi, soprattutto Rosa e Folco da Perugia, sono inquadrati nella vicenda storica delle nostre amate Ajello ed Amantea.
Da gioachimita convinto mi piace sottolineare che il romanzo è contestualizzato ad Ajello con le sue storie, Petramala oggi Cleto, tanto cara alla famiglia di mia moglie, Giannuzzi Savelli, Fiumefreddo con la sua abbazia di Fonte Laurato, ed infine Amantea. Mi permetto di andare oltre: il protagonista Folco da Perugia è nato proprio in quel quadrilatero costituito da Loreto, simbolo Templare, Assisi, la città del Santo, primo a predicare la fratellanza universale, ed infine Aquila, come noto la Gerusalemme in terra italica, per la struttura urbanistica. Voglio ricordare che Aquila è patria del grande Celestino V, allievo di Gioacchino da Fiore, che ha iniziato la cerimonia della “Perdonanza”  alla data del 29 Agosto di ogni anno.
Mi è capitato di stare inchiodato alla sedia leggendo “La Rosa d’Ajello”, come solo con la lettura de “Il padrino” mi è capitato, nel 1970, e mentre ne “In nome della Rosa“ all’esito della lettura ho riscontrato motivi di perplessità, ne “La rosa d’Ajello” non posso contestare nulla. Nella figura del drago dalle sette teste è apparsa evidente la profezia dell’abate florense: Carlo I° d’Angiò è il vero anticristo perché aveva eliminato nel 1268 l’erede della dinastia sveva Corradino. La sistematicità degli avvenimenti e la spiegazione del “Fiore dell’apocalisse”, non solo riconferma la mia intuizione sull’ottagono quale simbolo di unione dell’Uomo con Dio, ma afferma altresì che le tre religioni monoteistiche, come dice Gioacchino da Fiore, appartengono ad un’unica sorgente creatrice che è Dio, punto di partenza e di arrivo di ciascuno. Esistono molti libri sulla faccia della libreria, ma “La rosa d’Ajello” suscita quel potenziale legame d’amore per cervelli abituati alla lettura come modestamente io ritengo d’essere.


Antonio Rizzuti - Meridionalista


Recensione aggiunta in data 8.02.2011

Buonasera sig. Ruggiero
mi presento. Mi chiamo Patrizia Ventura e abito a Pinerolo in provincia di Torino.
La scorsa estate mi trovavo in villeggiatura presso mie zii che abitano a Campora S. Giovanni.
Presso l'edicola di Campora mi sono imbattuta in un libro da Lei scritto (La Rosa d’Ajello).
Ora che finalmente, causa impegni, sono riuscita ad ultimarne la lettura, mi permetto di farLe i miei complimenti.
Per la storia, per la stesura mai troppo lenta e ricca di riferimenti e poi, la cosa che mi ha colpito di più, per l'amore per quei luoghi  in cui la storia è ambientata che trapela da ogni singola parola.
Anche io, vedi per le origine o anche per il fatto di ritornare periodicamente in quei di Campora, adoro la gente, il paesaggio, la serenità e lo spettacolo della natura che quelle zone ti lasciano nel cuore ogni volta.
Concludo incitandola a continuare e sarà mia premura la prossima volta che verrò in Calabria acquistare l'altro suo testo, che non potrà che essere all'altezza di quello che ho appena concluso.

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