Passa ai contenuti principali

Un appello per salvaguardare e tutelare il patrimonio culturale calabrese, dopo la "scoperta" del dipinto dell'Ultima Cena a Saracena


"E se approfittassimo dell'entusiasmo per l'affresco di #Saracena per conoscere meglio il nostro vasto quanto misconosciuto patrimonio culturale e ci mobilitassimo, paese per paese, chiesa per chiesa, palazzo per palazzo, per la sua salvaguardia e tutela?", 
E' l'invito di Antonio Cavallaro, su Il Quotidiano del Sud - Calabria di oggi (6 gennaio 2019, pag. 28), a conclusione di un articolo che tratta della scoperta dell'affresco dell'#UltimaCena a Saracena, con interventi di Gianfrancesco Solferino, Mario Panarello e Vito Teti.
Già per #AielloCalabro, per rispondere all'appello, ci mobilitammo nei primi anni Duemuila per salvare la chiesa di #SanGiuliano e gli affreschi del nostro artista #RaffaeleAloisio. Qualche anno fa (nel 2007), lo stesso Gianfrancesco scrisse un accorato pezzo "Il grido muto di Aiello" per richiamare l'attenzione e l'azione sul patrimonio storico e artistico della cittadina. Ma, a meno che io sia stato disattento, constato amaramente che né la Comunità, né le Istituzioni hanno fatto qualcosa di concreto.
Vedi anche il post su FB ==> https://www.facebook.com/brunopino66/posts/10218948744819449


Qui di seguito l'articolo completo.
L’affresco di Saracena e la Calabria degli ossimori
di Antonio Cavallaro

Fa quasi tenerezza la reazione che si è registrata in questi giorni di fronte alla scoperta della “Ultima cena calabrese”, come già qualcuno, probabilmente proiettato in improbabili iniziative commerciali, l’ha frettolosamente definita, da parte dell’associazione culturale Mistery Hunters e di Mystica Calabria.
Tenerezza perché si tratta comunque di manifestazioni di affetto e protezione verso un patrimonio culturale come quello calabrese che necessita di efficaci azioni di tutela, ma anche per l’incredibile ingenuità con la quale persino alcuni media hanno gridato allo scoop, alla notizia sensazionale, allo straordinario ritrovamento.
La vicenda ricorda per molti versi quella del ritrovamento della “Ninfa dell’Angitola”, un presunto bronzo antico ritrovato nell’omonimo lago artificiale e rivelatosi, dopo qualche ora di euforia diffusa, ma sarebbe meglio dire di delirio collettivo, un semplice basamento di un tavolino da salotto di un genere tuttora in vendita su siti cinesi di ecommerce come Alibaba.
Già, perché anche in questo caso non c’è nulla di straordinario che giustifichi tanto entusiasmo né mobilitazioni collettive per la salvaguardia del presunto capolavoro.
«L’iconografia dell’ultima cena è presente praticamente in tutti i refettori degli ordini mendicanti e, già prima degli ordini monastici» ci ricorda lo storico dell’arte Gianfrancesco Solferino che abbiamo contattato per un parere sulla vicenda. «Non dimentichiamo inoltre – continua lo studioso – che l’affresco di Leonardo ha conosciuto una fortuna critica eccezionale dovuta sia alla notorietà dell’autore sia alla tecnica impiegata dal Maestro che ha causato la perdita quasi totale dell’affresco. Quella che vediamo oggi a Milano è una sinopia restaurata fino all’inverosimile e di Leonardo rimane molto poco. L’affresco, com’è noto, si deteriorò mentre era ancora in vita Leonardo. Anche per via di tali vicende e per quell’aura di mistero che vi ha sempre ruotato intorno, l’opera ha goduto di una notorietà eccezionale che ha fatto sì che venisse replicata infinite volte soprattutto intorno alla metà dell’Ottocento quando è diventata il soggetto di stampe, olografie, affreschi, dipinti murari… In quel periodo, inoltre,“La Santa Lega Eucaristica” di Milano produsse una serie di santini aventi a soggetto l’opera che ne consentirono una diffusione straordinariamente capillare»
Il fatto che vi sia una copia del celebre capolavoro leonardesco anche a queste latitudini non riveste dunque alcuna eccezionalità.
A tal riguardo Mario Panarello, docente di Storia dell’Arte presso il dipartimento PAU dell’Università di Reggio Calabria, ha osservato: «Esistono diverse copie dell’ “Ultima cena” di Leonardo in Calabria. Penso per esempio a quella dipinta da Raffaele Ursini sulla volta della chiesa matrice di Camini in provincia di Reggio Calabria. Non dimentichiamo che in passato i modelli di dipinti famosi venivano diffusi anche attraverso le incisioni. Io stesso – ci ha raccontato Panarello – possiedo una stampa molto deteriorata raffigurante il capolavoro leonardesco appartenuta a Zimatore e Grillo, pittori attivi tra otto e novecento che pure hanno riprodotto in diverse occasioni questo soggetto».
Nessun mistero dunque… nessuna esoterica setta di discepoli del maestro di Vinci operante in Calabria. Peraltro, nota lo storico dell’arte, «nessun pittore del Cinquecento avrebbe mai riproposto Leonardo. Ma al di là di questo, da quello che si può vedere dalle immagini che circolano sui social, siamo di fronte a un’opera certamente “simpatica” ma che non costituisce nulla di importante. Da quello che ho potuto vedere dalle immagini diffuse in rete si tratta con ogni probabilità di una pittura murale realizzata da un pittore, un decoratore, attivo tra Otto e Novecento».
Se, in ogni caso avevate programmato un viaggio a Saracena, non cambiate programma. Come ricorda Panarello, «Saracena possiede straordinarie opere d’arte. Basti citare la bellissima statua dell’immacolata di Pietro Bernini, padre del più noto Gianlorenzo, che rappresenta sicuramente l’opera più bella che lo scultore abbia prodotto tra Roma, Napoli e la Calabria, o il bellissimo crocifisso ligneo cinquecentesco custodito nella chiesa di Santa Maria del Gamio».
«Siamo ancora di fronte a una Calabria degli ossimori» ha commentato l’antropologo Vito Teti «Non valorizziamo tesori veri di cui abbiamo certezza e preferiamo ignorarli andando alla ricerca di presunti tesori da valorizzare. È come se l’emergenza di qualcosa di sconosciuto possa risolvere definitivamente il problema dell’immagine della Calabria. Sembra quasi che per salvare la nostra identità vi sia bisogno di qualcosa di continuamente nuovo e straordinario. La nostra è una terra di ruderi, castelli, rovine, chiese di cui non si sa e non si dice nulla, si preferisce attendere il miracoloso che possa legittimare la nostra identità. In fondo è lo stesso atteggiamento che abbiamo nei confronti dei personaggi illustri. Scandagliamo le genealogie di questo o di quello per individuare un possibile legame con la Calabria e ignoriamo quelli che in questa terra sono realmente vissuti».
La smania di mobilitazione per salvare l’affresco di Saracena non può non far pensare con un velo di tristezza e, se vogliamo, rabbia a quante opere di grandissima importanza e bellezza stiano sparendo sotto gli occhi e l’indifferenza di tutti.
«Perché non andare a vedere in che condizioni versa – si chiede con amarezza Gianfrancesco Solferino – la deesis della Chiesa di San Zaccaria a Caulonia, definita dalla storica dell’arte medievale Liana Castelfranchi Vegas, uno dei più importanti affreschi dell’Italia meridionale del XII secolo, e che sta letteralmente sparendo nell’indifferenza delle istituzioni e che è ospitata in maniera indegna sotto una tettoia di ferro e vetro».
E se approfittassimo dell’entusiasmo per l’affresco di Saracena per conoscere meglio il nostro vasto quanto misconosciuto patrimonio culturale e ci mobilitassimo, paese per paese, chiesa per chiesa, palazzo per palazzo, per la sua salvaguardia e tutela?

Commenti