
Il
volume, che si compone di 277 pagine, e 150 illustrazioni, sarà
presentato il prossimo 10 agosto in piazza Galeazzo di Tarsia, alle
21.30. Previsti gli interventi di Daniele Carnevale, assessore alla
cultura del Comune, e dello storico locale Gabriele Turchi al quale
il libro è meritoriamente dedicato.
Tra
il 1882 ed il 1924 da Belmonte Calabro verso gli Stati Uniti, vi fu
un notevole flusso migratorio. In quell'arco temporale, secondo i
dati riportati da Gallo, furono 1093 i belmontesi che sbarcarono a
New York. Il 30% di questi si stabilirono a Manhattan, il 12% a
Washington, l'8% a Pittsburgh, il 7% a Steubenville (Ohio) ed il 6%
a Providence (Rhode Island).
«All'epoca
– spiega Gallo - emigrare rappresentava quasi un lutto e quando i
mariti partivano, le mogli diventavano "vedove" e i
figli "orfani”». La storia di molti belmontesi, partiti per
migliorare il proprio avvenire e quello delle proprie famiglie, è
attraversata pure da non poche tragedie sul lavoro. Diversi i martiri
dell'emigrazione locale ricordati nel libro. Sono Nicola Veltri
(1855-1907) e Nunziato Veltri (1866-1907) che morirono il 7 dicembre
1907 nella miniera di Monongah nel West Virginia dove un'esplosione
causò il decesso di 358 minatori tra i quali 171 italiani; Francesco
Prastano di 20 anni il quale morì nel 1901 a Steubenville (Ohio) e
dove nel 1906 anche Bonaventura Elia è deceduto a 21 anni. Appena
un mese dal suo arrivo anche Antonio Bruno morì a 15 anni, il 4
giugno 1905 a Punxsutawney (Pennsylvania) per malattia, forse per
un'infezione contratta sul piroscafo "Italia" dal quale
sbarcò a New York l'8 maggio 1905.
«Partire
significava anche – aggiunge l'autore - avere la possibilità di
ritornare a Belmonte per riabbracciare i propri cari, per acquistare
un terreno agricolo dove costruirsi una casa confortevole per
crescere la propria famiglia. Con maggiori possibilità economiche
i figli potevano diplomarsi ed evitare lo sfruttamento da parte dei
proprietari terrieri di Belmonte o dei padroni delle fabbriche
americane. Gli emigranti offrivano così ai loro figli un avvenire
migliore. Attualmente molti discendenti di questi primi emigranti,
grazie alla scolarizzazione, sono diventati degli apprezzati
professionisti, orgogliosi del loro successo e grati ai loro avi
per i duri sacrifici che fecero».
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