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Cleta e l’instabilità politica permanente

di Franco Pedatella
Il testo è stato concepito a seguito dell’invito rivoltomi dal giornalista, nonché ex alunno ed amico, Paolo Orofino a scrivere qualcosa sullo scioglimento del Consiglio Comunale di Cleto e le dimissioni del Sindaco. Gli ho risposto che avrei dovuto aspettare che la Musa mi fecesse visita e mi ispirasse. Poi questo è accaduto dopo qualche giorno: sul far del giorno la bella Musa mi è comparsa e mi ha parlato. Quindi il testo, dopo essere stato composto, ha atteso un po’ di tempo in computer prima di essere pubblicato, perché ho voluto limarne e perfezionarne i suoni e le rime, per quanto ho saputo fare. Penso, infatti, che sia ottima abitudine quella di “… nonam edere post hiemem …”, cioè pubblicare solo dopo un lungo lavoro di rifinitura, come dicevano i Latini.

Nell’ora che i sogni veritieri
son e ogni imago sotto i veli appare
più chiara e chiara parla ai miei pensieri,
agli occhi miei la regina appare,

cosí come in boscaglia al cacciatore
fanciulla snella e fiera si presenta,
che ucciso ha un animale predatore
e i muscoli la corsa non le allenta.

Ha l’arco in spalla, in pugno la saetta,
negli occhi un lampo, in fronte il sol fulgente;
e, mentre ferma il passo, un po’ s’assetta,
per presentarsi in atto conveniente.

Poi si rivolge a me con dir tonante,
che rende del suo cuore l’apprensione
sí che ad un fine solo non mutante
tendono il corpo e l’alma l’espressione:

Spiegami tu, che d’altra terra vieni,
ove fiorisce il gelso e l’artigiano
ovra e intelletto è fine e non ha freni:
perché la gente mia di vita vano

ha il corso, sí che mai non giunge al mezzo
quel che ha previsto per la settimana,
ma dell’impresa compie solo un pezzo
e lascia alla mercé d’acqua piovana

il resto, che l’ingordo mar travolge?
L’invidia l’opra intrapresa segna,
poiché l’un l’occhio all’altro bieco volge
e lite in paese eterna regna.

Gli animi tutti l’alterigia incera
e al peggio ogni buon pensiero move
sí che nel mio palazzo spesso impera
estraneo reggitor che ha il cuore altrove.

Contrasti di vedute tengon campo
piú che badare al ben comune insieme,
sí che discordia scoppia come un lampo
e squarcia in ciel le nuvole serene.

Dimmi di queste cose la ragione
cosí che un poco in petto rassereno
l’animo che sobbalza in apprensione
e do riposo ad ogni pena in seno!

Tali non fûro i figli miei passati,
che uniti in campo sempre si battêro
di fronte un tempo ai forti Crotoniati
ed ampia di coraggio prova diêro.

Una la forza, una volontate
per la difesa del suol patrio fu;
ognuno allontanò ogni viltate
e mise in petto ogni sua virtú.

Di quelli la più forza poi da sezzo
piegò il coraggio, impose a noi saggezza:
fu’ io che ne pagai il maggior prezzo,
ma i miei ai figli diêro la salvezza.

Queste vicende esempio in avvenire
siano a chi s’appresta a governare,
ché dopo il verno viene primavera
e il frutto appronta all’uom d’ assaporare.

A chi le sacre penne vestir vuole
d’aver giustizia a cuor si raccomanda,
ché quel che in corpo e in animo si duole
guarda con speme verso chi comanda.

Respira, opra e rema in sola barca
chi va benigno in mare periglioso,
e pesca ed in comune mette in arca
come Noè in diluvio rovinoso.

Non segga al posto mio chi dispennare
pensa l’uccello sacro del potere,
che al popolo si volge per guidare
la terra ov’olio e vino si può bere.

Forse era meglio fosse femminile
la trasmissione del potere antico:
tenevo al seno il popolo qual prole
ed il potere al popolo era amico”.

Quinci si volge e a me le belle terga
mostra né udire vuol la mia risposta,
ché la sua voce e il tono sa che alberga
ferma opinion e in cuor l’è ben riposta.

Indi scompare sí com’era apparsa,
lasciando me in gran dubbio e in afasía
e dietro a sé d’ambrosia in aere sparsa,

qual si conviene a dea, lunga scìa.

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